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Promessi Sposi capitolo 31 Riassunto

Promessi Sposi capitolo 31 Riassunto dettagliato, analisi e commento degli avvenimenti, luoghi e personaggi del celebre romanzo di Alessandro Manzoni

Promessi Sposi capitolo 31 Riassunto: la peste portata dai Lanzichenecchi dilaga

Era noto che tra i Lanzichenecchi serpeggiasse la peste e nell’autunno del 1629 il contagio attecchisce proprio nelle zone percorse dagli eserciti dove, dapprima in maniera sporadica, poi via via con maggiore intensità, la gente comincia a morire di mali violenti, strani e sconosciuti ai più.

Solamente pochissimi, che ancora ricordano il morbo scoppiato cinquantatre anni prima (la peste di San Carlo del 1576), riconoscono i segni dell’orribile epidemia. Fra questi Lodovico Settala, capo dei medici milanesi, che dà subito l’allarme. Ma le autorità, però, non mostrano di preoccuparsene.

Sul finire dell’ottobre 1629, persistendo la malattia, viene disposta un’inchiesta nei territori colpiti, ma gli inquirenti si lasciano convincere da un vecchio e ignorante barbiere di Bellano, che non si tratta di peste, bensì di semplici febbri causati da stenti e fatiche. Solo quando l’infuriare del morbo si diffonde in maniera più che evidente, i magistrati si scuotono dall’indifferenza e si decidono a ordinare un’altra più approfondita inchiesta: ora, è allarme generale.

Purtroppo, il nuovo governatore, Ambrogio Spinola, degno successore di don Gonzalo, che ha solo in mente la guerra a Casale, si ostina a negare la peste come, del resto, la popolazione, mentre il cardinale Federigo è l’unico che ordina ai parroci, con lettere pastorali, le adeguate misure di sicurezza.

Promessi Sposi capitolo 31 Riassunto: la popolazione non crede al contagio e ostacola i provvedimenti del tribunale di sanità

In autunno la peste giunge a Milano: a portarla è un soldato italiano al servizio degli spagnoli, alloggiato presso parenti a porta orientale. Probabilmente era infetto il fagotto di vestiti che ha acquistato o rubato ai soldati tedeschi. In pochi giorni il fante muore: un bubbone sotto l’ascella non lascia dubbi. Con lui si ammalano familiari, conoscenti, vicini di casa. Ma, poiché la peste attecchisce lentamente e in maniera poco clamorosa, ben pochi ci credono e gli stessi medici non sempre denunciano i malati, che temono la reclusione al lazzaretto.

La gente reagisce con odio e disprezzo agli avvisi di prudenza e cautela; rifiuta di bruciare la roba infetta; arriva al punto di accusare Lodovico Settala di spargere false notizie allarmistiche «e tutto per dar da fare ai medici».

Nella primavera del 1630 la malattia, rimasta in incubazione durante i mesi invernali, dilaga rapidamente in tutti i quartieri con segni inequivocabili, cui però si preferisce dar nome di febbri maligne, febbri pestilenziali. Le autorità pubbliche cominciano ad agire, ma in modo poco efficiente.

Promessi Sposi capitolo 31 Riassunto: i Capuccini gestiscono il lazzaretto. La popolazione è convinta che la peste è causata da unzioni malefiche

A gestire il lazzaretto, dove la popolazione aumenta ogni giorno, vengono chiamati i Capuccini, guidati da padre Felice Casati e da padre Michele Pozzobonelli, che si prodigano in tutti i modi per gli ammalati.

Nessuno più osa negare che la peste ci sia, ma nessuno pensa alle cause naturali del contagio. La gente preferisce cercare un capro espiatorio, parlando di malocchio, azioni magiche, operazioni diaboliche messe in atto da don Gonzalo, dal cardinale Richelieu, dai capitani tedeschi, dai milanesi stessi, animati da strani e incomprensibili ragioni.

Ad avvalorare questa assurda tesi subentrano due fatti strani: la presunta unzione delle panche del duomo e una sudiceria giallognola, che viene ritrovata un giorno per la città. A questo punto si grida alle unzioni: si provvede a bruciare gli spazi unti, a ripulire, a disinfettare alla meglio, guardando con sospetto soprattutto gli stranieri, ma non si trova alcun colpevole.

Malgrado i segni manifesti della malattia, comunque, un largo strato della popolazione milanese ancora si ostina a negarla, finché il tribunale della sanità non escogita una macabra soluzione: secondo la tradizione, a Pentecoste, i cittadini si recano al cimitero di San Gregorio a pregare per i morti del contagio precedente; nel momento di maggior afflusso, i cadaveri nudi di un’intera famiglia morta di peste vengono portati al cimitero esposti su di un carro, attraverso la folla elegante e fastosa. Ora l’esistenza della peste viene ammessa, ma solo in connessione con un’altra idea, quella delle unzioni e del malefizio. Sono tutte distorsioni mentali che impediscono efficaci cure e utili rimedi.

In questa dolorosa rassegna Manzoni, accanto al dilagare del contagio, alla graduale presa di coscienza da parte della gente dell’entità della tragedia, mette in luce le disfunzioni dell’amministrazione, inefficiente e intempestiva, l’ennesima accusa ad una classe politica ignorante e disorganizzata; si aggiunga l’irrazionalità della massa popolare sorda ad ogni richiamo al buon senso, sia quando si tratta di cautelarsi dal male sia, in seguito, quando occorra conoscere le cause vere per gli opportuni rimedi.

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