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Canto 7 Inferno: avari e prodighi, iracondi e accidiosi

Nel canto 7 dell’Inferno (canto VII Inferno) Dante altera la struttura solita e descrive non un solo cerchio ma due, il quarto e il quinto, dove sono puniti rispettivamente gli avari e i prodighi, e gli iracondi e gli accidiosi.

Cosa succede nel canto 7 Inferno?

Dante e Virgilio incontrano il demonio Pluto (vv.1-15)

Nel settimo canto Inferno Dante e Virgilio si trovano sulla soglia del quarto cerchio, dove incontrano il demonio Pluto, il dio greco della ricchezza. Pluto, guardiano del quarto cerchio, che ha le sembianze di un lupo, pieno di disappunto (Pape Satàn, pape Satàn aleppe! Satana, oh Satana ohimè!) impedisce loro il passaggio.

Virgilio, dopo aver confortato Dante, fa tacere il mostro spiegando, come già a Caronte e a Minosse, che la missione di Dante è voluta da Dio e che niente può ostacolare il suo cammino. Allora, «la fiera crudele» si accascia su se stessa, come si affloscia una vela quando un albero si spezza.

Canto 7 Inferno – Gli avari e i prodighi (vv. 16-66)

Virgilio e Dante entrano così nel quarto cerchio, dove sono puniti gli avari e i prodighi. Sia gli avari sia i prodighi, puniti nel quarto cerchio, fecero un cattivo uso del denaro in vita: i primi perché lo accumularono; i secondi perché lo sperperarono.

Divisi in due schiere opposte, spingono col petto enormi macigni (i macigni rappresentano le ricchezze accumulate in vita); quando s’incontrano, le due schiere si accusano degli opposti peccati: i prodighi chiedono agli avari perché accumulano avidamente le ricchezze; viceversa, gli avari chiedono ai prodighi perché sperperano; poi, riprendono l’eterno cammino in senso opposto.

Dante, incuriosito dalla tonsura esibita da molti di loro, si chiede se tali peccatori siano appartenti alla Chiesa. Virgilio conferma che si tratta di avari e prodighi, molti dei quali ecclesiastici. Inutile però chiedersi il loro nome, infatti il loro peccato li rende irriconoscibili, come in vita essi furono incapaci di riconoscere il bene dal male. Viene così introdotto uno dei temi ricorrenti della Divina Commedia, cioè quello della corruzione del clero e del suo attaccamento alle cose mondane, che Dante denuncia con durezza.

La dottrina della Fortuna (vv. 67-96)

Nel canto settimo Inferno, Virgilio espone a Dante la dottrina della Fortuna. Virgilio spiega che, allo stesso modo in cui Dio ha affidato alle varie gerarchie angeliche il movimento dei cieli, così ha affidato a un’altra intelligenza celeste, la Fortuna appunto, il compito di regolare il continuo mutamento dei beni degli uomini (ricchezza, gloria, onore, potenza) senza che questi possano in alcun modo intervenire. Per questo, benché molti uomini la maledicano, la Fortuna continua a svolgere il compito affidatole da Dio, incomprensibile alla mente umana.

Canto 7 Inferno – Gli iracondi e gli accidiosi (vv. 97-130)

Dante e Virgilio giungono nel quinto cerchio, presso un ruscello dalle acque torbide che scorre fino alla palude Stigia, dove sono immersi gli iracondi, che in vita si fecero sopraffare dall’ira; ora, coperti di fango, si picchiano e si mordono ferocemente. Sotto di loro, completamente immersi nel fango, vi sono gli accidiosi, che in vita covarono l’invidia dentro di sé; ora, con i loro lamenti, fanno gorgogliare l’acqua in superficie.

Camminando lungo la sponda dello Stige, i due poeti giungono infine ai piedi di una torre.

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