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La morte di Socrate: le accuse, il processo, la condanna

La morte di Socrate avvenne nel 399 a.C. ad Atene. Fu accusato di professare credenze religiose immorali e di corrompere i giovani: per questo motivo venne processato. Si difese in modo memorabile ma, ritenuto colpevole, fu condannato a morte. Invece di fuggire e salvarsi come avrebbe potuto benissimo fare (esisteva un buon piano per farlo scappare dalla prigione), accettò la condanna a morte e morì per una dose letale di cicuta nel 399 a.C.

La morte di Socrate – Il contesto storico

La città di Atene era appena uscita dalla sconfitta della guerra del Peloponneso (431 a.C – 404 a.C) e dalla breve ma sanguinosa dittatura dei Trenta tiranni; anche se il regime democratico era stato ristabilito, la crisi politica ateniese restava profonda e la figura di Socrate risultava incompatibile con la generale aspirazione a cercare rifugio nei valori rassicuranti della tradizione consolidata.

Socrate, infatti, predicava il rispetto delle leggi (e lo dimostrò lui stesso accettando la condanna a morte) ma aveva sempre posto come fondamentale l’esigenza che queste fossero in sintonia con la giustizia. Oltre a ciò egli si sforzava di insegnare il concetto che per ogni cittadino, esiste prima di tutto il dovere di rispettare se stesso, la propria anima e la propria personalità. Per questo motivo, insisteva sul fatto che nessuno desse nulla per scontato ma che si discutesse e si indagasse su tutto, anche sulla liceità delle leggi stesse. Il suo atteggiamento critico veniva dunque considerato disfattismo dagli ottusi assertori di uno sfrenato patriottismo.

Socrate – Il processo e la condanna

Anito, Meleto e Licone, esponenti del partito democratico, accusarono Socrate di empietà nei confronti degli dèi, di avere introdotto nella città nuovi dèi, e di corruzione dei giovani.

Il filosofo rifiutò di riconoscersi colpevole, cosa che probabilmente gli avrebbe salvato la vita. Il tribunale popolare, l’Eliea, lo condannò a morte. Sebbene i suoi discepoli gli offrirono la possibilità di fuggire dal carcere, corrompendo i guardiani, egli non volle sottrarsi alla condanna per non violare le leggi della città. Così, dopo aver rincuorato i suoi discepoli, bevve serenamente la cicuta e morì.

Socrate venne condannato perché “scomodo” per il potere. In apparenza non faceva nulla di pericoloso: si limitava a dialogare con chiunque lo volesse, dai più grandi sofisti ai semplici cittadini, soprattutto giovani, che lo seguivano con grande entusiasmo.

La sua vera professione, egli diceva, era la maieutica, vale a dire la tecnica di far nascere i bambini, il mestiere delle levatrici. Come queste ultime facevano partorire i corpi, così egli faceva partorire le menti, rivelando verità semplici e ignote.

Il suo metodo si basava sulla parola e sul dialogo, e aveva un unico scopo: far comprendere che gli uomini credono di conoscere la verità, ma in realtà hanno solo un opinione, che bisogna sempre essere pronti a mettere in discussione, se si vuole davvero la verità. Occorre sempre partire dall’unica cosa che certamente sappiamo: io so di non sapere nulla. Di conseguenza non si deve accettare nulla per il solo fatto che viene dall’alto, da chi siamo abituati a considerare autorevole.

Si capisce perché un atteggiamento come questo potesse risultare pericoloso nel contesto nel quale si trovava: l’incompetenza dei governanti; la confusione del regime assembleare; la decadenza della democrazia ateniese, sempre più preda della corruzione e della lotta tra fazioni. Socrate fu ritenuto, dunque, un pericolo da eliminare.

Il significato della sua figura va però al di là delle circostanze storiche. Socrate è infatti il simbolo di un pensiero che rifiuta di accettare passivamente l’esistente e che non è mai disposto a rinunciare alla critica, dunque alla libertà.

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