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Giuliano l’Apostata, ultimo imperatore romano pagano

Giuliano l’Apostata è passato alla storia con questo nome perché colpevole di apostasia (dal greco apostasía, ribellione), per aver pubblicamente rinnegato la fede cristiana.

Giuliano l’Apostata succede a Costanzo II

Costanzo II, figlio di Costantino, regnò come unico imperatore dal 350 alla sua morte (361).

Gli successe un suo cugino, Giuliano (361-363), che i figli di Costantino avevano tenuto lontano dalla corte, relegandolo in un latifondo imperiale della Cappadocia. Qui il giovane Giuliano fu educato sia allo studio dei classici sia alla fede cristiana. Ma l’amore per la cultura degli antichi ebbe il sopravvento sull’educazione religiosa e Giuliano ripudiò il cristianesimo.

Colpevole di apostasia (dal greco apostasía, ribellione), cioè per aver pubblicamente rinnegato la fede cristiana, l’imperatore venne chiamato dalle fonti cristiane Giuliano l’Apostata, nome con cui è passato alla storia.

Diventato imperatore, Giuliano l’Apostata concepì il sogno di restaurare il paganesimo, riportandolo agli antichi splendori.

Cominciò con l’abolire tutte le leggi che limitavano la libertà dei culti pagani; ristabilì quindi i riti tradizionali; fece costruire e restaurare i templi; scelse i governatori e i ministri tra individui di fede pagana e di alta cultura; abolì i privilegi concessi da Costantino alla Chiesa; scrisse libelli anticristiani; protesse la religione giudaica; proibì ai professori cristiani d’insegnare le lettere classiche. Non fu mai intrapresa nessuna sistematica persecuzione.

Giuliano l’Apostata sapeva bene che questi provvedimenti non bastavano a rilanciare il paganesimo declinante. Progettò quindi una grande spedizione militare contro i Persiani.

Era infatti convinto che un clamoroso trionfo sui nemici di sempre, quelli che nessuno era riuscito a domare, conseguito da un imperatore pagano sotto gli auspici delle divinità pagane, avrebbe restituito prestigio alla vecchia religione e riversato su di essa l’entusiasmo delle masse.

I Romani avrebbero così riscoperto insieme l’orgoglio della vittoria e l’amore per gli antichi. Del resto, gli abitanti del mondo romano, cristiani e pagani che fossero, si auguravano che l’Impero allontanasse la pressione dei barbari.

Giuliano l’Apostata e la campagna militare contro i Persiani

La campagna persiana (363 d.C.) fu preparata con cura. Un esercito imponente (66.000 uomini) e ben equipaggiato invase il territorio nemico costeggiando l’Eufrate; lo accompagnava una grande flotta che seguiva il corso del fiume trasportando viveri e macchine d’assedio.

Giuliano ottenne numerosi successi e una splendida vittoria presso Ctesifonte (26 maggio 363), ma non riuscì a prendere la città. Proseguì quindi l’avanzata, ma i nemici si sottraevano allo scontro campale. I Persiani, infatti, si limitavano ad attacchi a bassa intensità ma continui, mentre il morale delle truppe romane s’indeboliva di giorno in giorno.

Durante la marcia di ritorno in patria, l’esercito romano affrontò l’esercito persiano al completo. Giuliano l’Apostata morì in conseguenza di una ferita riportata nello scontro (26 giugno 363).

L’esercito romano acclamò allora imperatore Gioviano, che negoziò con i Persiani un accordo svantaggiosissimo e una pace umiliante, perché i Persiani entrarono in possesso di vasti territori delle province orientali.

Subito dopo, Gioviano abrogò i decreti di Giuliano l’Apostata contrari alla chiesa cristiana. Morì, per cause naturali, dopo soli 8 mesi di regno (17 febbraio 364), mentre rientrava con l’esercito dalla disastrosa spedizione militare contro i Persiani.

L’Impero venne di nuovo diviso tra due augusti: in Occidente Valentiniano I (364-375), che era stato comandante della guardia imperiale di Giuliano; in Oriente il fratello Valente (364-378).

Intanto l’Impero stava vivendo un’altra fase drammatica di nuove invasioni causate dal dilagare dei barbari.

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