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Purgatorio Canto 1. Riassunto e commento

Purgatorio Canto 1 della Divina Commedia di Dante. Riassunto e commento

Argomento del canto 1 del Purgatorio:

  • Invocazione alle Muse (vv. 1-12)
  • Il cielo dell’emisfero antartico (vv. 13-27)
  • Catone Uticense (vv. 28-111)
  • Rito di umiltà e di purificazione (vv. 112-136)

Purgatorio Canto 1: Invocazione alle Muse (vv. 1-12)

Il Canto 1 del Purgatorio si apre con l’invocazione di Dante alle Muse (in particolare Calliope, la musa della poesia epica e la massima fra le Muse) perché lo ispirino nella narrazione di ciò che vide nel Purgatorio: se infatti finora la sua poesia ha avuto per oggetto l’Inferno, mondo della morte, ora si deve innalzare.

Chiede quindi a Calliope di accompagnarlo con lo stesso canto con cui vinse le Piche sciagurate (il mito – narrato da Ovidio nelle Metamorfosi, canto V – racconta che le Piche – le nove figlie di Pierio, re della Tessaglia – avevano sfidato le Muse in una gara di canto. Quando sentirono però il canto di Calliope, e capirono di essere state vinte, si resero conto che non sarebbero state perdonate per la loro tracotanza. Furono così trasformate in gazze).

Purgatorio Canto 1: Il cielo dell’emisfero antartico (vv. 13-27)

È appena l’alba. Dante giunge con Virgilio ai piedi della montagna del Purgatorio. Il cielo ha l’azzurro colore dello zaffiro, così dolce a vedersi, dopo le tenebre dell’Inferno. Brillano quattro stelle (allegorie delle virtù cardinali: giustizia, fortezza, temperanza, prudenza) che nessuno ha mai visto, eccetto i progenitori (Adamo ed Eva).

Purgatorio Canto 1: Catone Uticense (vv. 28-111)

Dante scorge un vecchio dall’aspetto severo (è Catone l’Uticense). Ha una lunga barba e brizzolata così come i suoi capelli, dei quali ricadono sul petto due ciocche (Catone ha l’aspetto tradizionalmente attribuito ai saggi). La luce delle lontane stelle brillano sul suo volto severo (Catone seguì in vita le virtù cardinali e ora sembra illuminato da Dio stesso; perciò è scelto come custode del Purgatorio).

Il vecchio, dall’aspetto inflessibile, chiede ai due poeti chi essi siano, chi li abbia guidati fin lì, si chiede se essi siano sfuggiti alle pene dell’Inferno, se le leggi di Dio siano state infrante.

Virgilio afferra Dante e lo induce a inginnocchiarsi e abbassare lo sguardo in segno di rispetto. Poi, risponde subito all’ultima domanda: le leggi di Dio non sono state infrante, anzi il loro viaggio è consentito da Dio per intercessione di un’anima beata (Beatrice).

Dichiara che Dante non è morto, ma per il suo peccato è stato così vicino alla morte spirituale (cioè alla dannazione) che è mancato poco perché venisse dannato.

Così – prosegue Virgilio – egli è stato incaricato di salvarlo e non c’era altra strada da percorrere se non quella. Gli ha mostrato tutti i dannati, e ora intende mostrargli quegli spiriti che si purificano sotto la custodia di Catone.

Virgilio sottolinea che il viaggio di Dante è voluto e illuminato da Dio. Dante si trova lì perché è in cerca della «libertà» (qui s’intende la libertà dal peccato) tanto preziosa e Catone deve saperlo bene visto che proprio per la libertà egli ha rinunciato alla vita.

Virgilio ribadisce che le leggi di Dio non sono state infrante, perché né lui né Dante sono dannati, in quanto l’uno è ancora vivo, l’altro sta nel Limbo dove si trova Marzia, la moglie di Catone. Quindi, in nome dell’amore che li legò, Virgilio chiede a Catone di consentire loro di procedere.

Catone risponde che come tutti gli eletti anche egli non è più sensibile alla sorte di chi è escluso dalla Grazia (Catone si conferma giudice impassibile, superiore ai suoi stessi affetti terreni). Tuttavia, poiché Virgilio afferma di essere guidato da un’anima del Paradiso (Beatrice), è sufficiente invocare quest’ultima e non c’è bisogno di ulteriori lusinghe.

Catone invita dunque i due poeti a proseguire, ma ordina a Virgilio di andare sulla spiaggia più bassa dell’isola del Purgatorio dove cingerà i fianchi di Dante con una fronda di giunco simbolo di umiltà (perché l’umiliarsi è la prima via per accostarsi alla penitenza) e gli laverà il volto per togliergli il sudicime dell’Inferno (per ripulirlo di ogni macchia di peccato), perché non giunga davanti al guardiano della porta del Purgatorio, che è un angelo del Paradiso, con gli occhi offuscati.

Il giunco rappresenta l’umiltà, perché è una pianta flessibile e docile al vento, priva di nodi (cioè di resistenza alla volontà di altri) e cresce in terreni bassi. Solo l’umiltà consente un perfetto adeguamento al volere di Dio e rende possibile la liberazione dal male.

Infine Catone ammonisce Dante e Virgilio a non tornare indietro, dopo aver compiuto i due riti, ma devono seguire il corso del sole (illuminata dalla Grazia, l’anima deve procedere verso la salvezza).

Detto questo Catone scompare. Dante si rialza e senza parlare si accosta a Virgilio.

Purgatorio Canto 1: Rito di umiltà e di purificazione (vv. 112-136)

Dante e Virgilio riprendono il cammino. È l’alba e Dante scorge da lontano lo scintillare indistinto del mare. Giungono sulla spiaggia deserta e più in là Virgilio pone le mani sull’erba bagnata dalla rugiada: pulisce con essa il viso di Dante dalla fuliggine di cui si è coperto all’Inferno; quindi lo cinge con un giunco che, una volta strappato, ricresce miracolosamente (è un’allegoria: ogni atto di umiltà ne genera un altro).

 

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