Il canto 13 del Paradiso di Dante si svolge nel quarto cielo, il cielo del Sole, dove si trovano gli spiriti sapienti (cioè le anime di coloro che indirizzarono la mente alla conoscenza di Dio), che cantano e danzano disponendosi a cerchio intorno a Dante e Beatrice.
Canto 13 Paradiso riassunto
San Tommaso risponde al dubbio di Dante sul primo fra i sapienti
Dopo che Bonaventura da Bagnoregio ha terminato il suo discorso su san Domenico (vedi canto 12 Paradiso), le due corone di beati riprendono a cantare e a danzare intorno a Dante e Beatrice, muovendosi in senso opposto l’una all’altra. Dante, chiedendo al lettore uno sforzo di immaginazione, paragona le due corone di beati alle quindici stelle del cielo boreale, unite alle sette dell’Orsa maggiore e alle due dell’Orsa minore a formare una costellazione (che in realtà non esiste) a forma di corona.
Quindi si fermano e san Tommaso d’Aquino riprende a parlare per risolvere il dubbio di Dante a proposito di quanto detto da lui sulla somma sapienza di re Salomone, nel canto 10 del Paradiso, v. 114: «a veder tanto non surse il secondo» («non nacque un altro uomo altrettanto saggio»). Dante è infatti giustamente convinto della perfetta sapienza di Adamo e di Cristo, per cui gli risulta problematica l’affermazione di san Tommaso.
Spiegazione di san Tommaso vv. 49-111
San Tommaso, con un suo ragionamento, conferma l’opinione di Dante secondo cui solo Adamo e Gesù furono perfetti e, quindi, dotati della massima sapienza. Infatti, precisa che: essendo stato creato direttamente dalla Trinità, Adamo fu fatto perfetto, così come Gesù, che venne concepito direttamente nel ventre della Vergine per opera dello Spirito Santo. La sapienza di Salomone, invece, è quella propria dei re, che devono sapere giudicare il popolo. Tanti infatti sono i re, ma pochi quelli veramente buoni. L’affermazione di san Tommaso (“nessun uomo è mai stato più saggio di Salomone”, canto 10 Paradiso) si riferisce dunque alla superiore sapienza di Salomone rispetto agli altri re, e non in assoluto.
San Tommaso invita gli uomini a essere cauti nel dare giudizi vv. 112-142
Compiuta la spiegazione, san Tommaso ammonisce Dante e gli uomini dal formulare giudizi affrettati e a valutare invece le questioni con lentezza. Tommaso cita filosofi e teologi che incorsero in errori di giudizio: Parmenide e Melisso (filosofi greci, vissero nel V sec. a.C. e sostennero l’immobilità e l’indivisibilità dell’essere); Brisone (filosofo e matematico greco e tentò di risolvere l’insoluto problema della quadratura del cerchio); Sabellio e Ario (furono due dei più celebri eretici cristiani: il primo negava il dogma della Trinità, mentre il secondo la natura divina di Cristo). I loro errori sono paragonati da Dante alle immagini deformate che si riflettono sulla superficie delle spade.
Gli uomini – prosegue san Tommaso – non devono essere precipitosi nel giudicare, come colui che pensa che il grano sia maturo anzitempo, poiché spesso un pruno rinsecchito nell’inverno fa sbocciare i suoi fiori a primavera e una nave può percorrere speditamente la sua rotta, per poi naufragare in vista del porto.
E dunque donna Berta e ser Martino (cioè la gente comune), vedendo uno che ruba e l’altro che fa offerte, non pretendano di conoscere il giudizio divino: perché chi ha peccato può salvarsi col pentimento, mentre chi ha agito sempre bene può peccare.