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Verismo italiano e confronto con Naturalismo francese

Il Verismo fu un movimento letterario che si affermò in Italia fra il 1870 e il 1890. Trae origine dal Naturalismo francese; ma anche se il Verismo fece suoi alcuni principi del Naturalismo, ebbe sviluppi e caratteri autonomi distinguendosi nettamente da esso.

Gli esponenti del Verismo

Luigi Capuana (1839-1915), uno dei maggior critici del secondo Ottocento (scrisse anche romanzi, novelle, fiabe e racconti) fu il maggior teorico del Verismo italiano, ma il suo più grande e autentico narratore fu Giovanni Verga (1840-1922).

Da non dimenticare, poi, Grazia Deledda, Matilde Serao (1856-1927) e, in qualità di poeta di maggior rilievo di questo periodo, Giosue Carducci.

I caratteri fondamentali del Naturalismo e del Verismo

Il Naturalismo francese (che ebbe come suo maggior rappresentante Émile Zola) e il Verismo italiano si proposero di:

  • rappresentare una precisa realtà umana e sociale in modo obiettivo, quasi «fotografico»;
  • nel rappresentare tale realtà, l’autore doveva narrare i fatti in maniera impersonale; doveva cioè «tirarsi indietro», eliminare ogni giudizio personale, al punto che «l’opera sembri essersi fatta da sé», come diceva Verga;
  • l’autore doveva utilizzare un linguaggio semplice e diretto. Il linguaggio, inoltre, dovendo riflettere il modo di esprimersi dei personaggi narrati, doveva comprendere anche espressioni tipiche delle parlate regionali.

Differenza tra Naturalismo e Verismo

In Francia il Naturalismo si sviluppò in una società industriale e in un contesto cittadino; il Verismo invece ebbe a che fare con la realtà italiana ancora arretrata da un punto di vista economico e con uno sfondo soprattutto rurale.

In Italia, infatti, l’industrializzazione che aveva investito l’Europa, in particolare l’Inghilterra e la Francia, era solo agli inizi, per di più la raggiunta unità politica aveva aggravato problemi già esistenti, come il profondo divario tra il Nord e il Sud (nasceva proprio in questi anni la cosiddetta «questione meridionale»).

Mentre i Naturalisti francesi rappresentavano soprattutto la vita del proletariato urbano, i Veristi focalizzavano la loro attenzione sulle condizioni di miseria e di sfruttamento a cui era sottoposto un sottoproletariato fatto di contadini, pescatori e minatori.

Nei romanzi francesi, alla denuncia delle ingiustizie sociali, si accompagnava la fiducia in un loro superamento, poiché gli scrittori naturalisti esprimevano le loro idee in una società avanzata, che generalmente condivideva le loro proteste e la loro ansia di rinnovamento; i problemi rappresentati erano comuni a buona parte del popolo francese e assumevano quasi un carattere nazionale.

Nei romanzi italiani, invece, era sì presente la pietà per le misere condizioni degli umili, ma non si intravedeva una reale possibilità di riscatto e di miglioramento. I Veristi vivevano e scrivevano in una società ancora arretrata, dove le classi subalterne erano rassegnate, mentre la borghesia industriale e l’aristocrazia terriera erano chiuse nel loro mondo e sorde alle questioni sociali. Un miglioramento delle condizioni di vita dei ceti subalterni sembrava impossibile; nei loro libri quando un personaggio di umile condizione cerca di salire nella sfera sociale, il suo sforzo finisce quasi sempre in tragedia.

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