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Clodia, la Lesbia di Catullo

Clodia (94-45 a.C.) è stata la moglie del proconsole per il territorio cisalpino Quinto Metello Celere e sorella del tribuno della plebe Publio Clodio Pulcro (agitatore del partito dei populares e alleato di Cesare, nonché mortale nemico di Cicerone, del quale determinò, tra l’altro, l’esilio da Roma).

Era una donna elegante, raffinata, colta, ma anche libera e disinibita nei suoi atteggiamenti e nel suo comportamento, tanto da riempire di sé le cronache del tempo, i pettegolezzi della Suburra o delle basiliche e taverne del Foro e in seguito le aule del tribunale. È infatti del 56 a.C. l’orazione Pro Caelio in cui Cicerone difese Marco Celio Rufo accusato da Clodia, sua amante, di aver tentato di avvelenarla. Cicerone la coprì di ingiurie, pronunciando contro di lei parole di fuoco.

Clodia fu l’amante di personaggi che dominarono la politica, come Cesare e Pompeo, di giovani scavezzacolli come Marco Celio Rufo e di poeti come l’infelice Catullo. Catullo ne rimase affascinato e la cantò nei suoi versi sotto lo pseudonimo di Lesbia, in omaggio alla poetessa Saffo.

L’amore di Catullo per Clodia-Lesbia

All’inizio la loro storia fu vissuta con grande intensità da entrambi, ma ben presto Clodia non volle o non seppe dedicarsi a un solo amore, così cominciarono i tradimenti di lei e la gelosia e l’angoscia di lui.

Per Clodia, Catullo provò sempre una passione trascinante, che lo fece intensamente soffrire. La maggior parte dei suoi carmi è infatti incentrata sull’amore non corrisposto, sui tradimenti di cui Lesbia lo fa oggetto, sulle pene d’amore che non gli permettono di conoscere la felicità.

Viviamo, mia Lesbia – Testo in latino e traduzione

Nel carme che vi proponiamo (carme 5 del Liber catulliano), forse il più famoso dei carmi catulliani, il poeta assapora invece uno dei rari momenti di serenità e inneggia all’amore, inteso sia come sentimento affettivo sia come piacere sessuale, ma soprattutto come esaltazione a godere la vita, data la sua brevità a confronto con l’eternità della morte.

Testo in latino (carme 5)

Vivamus, mea Lesbia, atque amemus,
rumoresque senum severiorum
omnes unius aestimemus assis.
Soles occidere et redire possunt;
nobis cum semel occidit brevis lux,
nox est perpetua una dormienda.
Da mi basia mille, deinde centum,
deinde usque altera mille, deinde centum.
Dein, cum milia multa fecerimus,
conturbabimus illa, ne sciamus,
aut ne quis malus invidere possit,
cum tantum sciat esse basiorum.

Traduzione di Luca Canali in Catullo, Poesie, Firenze, Giunti, 1997

Viviamo, mia Lesbia, ed amiamo,
e i mugugni dei vecchi moralisti
tutti insieme non stimiamoli un soldo.
I giorni tramontano e poi tornano;
ma noi quando cade la breve luce della vita,
dobbiamo dormire una sola interminabile notte.
Donami mille baci, poi altri cento,
poi altri mille, poi ancora altri cento,
poi di seguito mille, poi di nuovo altri cento.
Quando poi ne avremo dati migliaia,
confonderemo le somme, per non sapere,
e perché nessun malvagio ci invidi,
sapendo che esiste un dono così grande di baci.

La data di morte di Clodia è sconosciuta. Troviamo citato il suo nome un’ultima volta nel 45 a.C., allorché Cicerone era intenzionato a comprare gli “horti Clodiae” lungo le rive del fiume Tevere.

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