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Le Historiae di Sallustio – riassunto

Le Historiae è la terza opera storica di Sallustio, scritta dopo le due monografie, il De Catilinae coniuratione il Bellum Iugurthinum (Guerra giugurtina).

Le Historie di Sallustio si compongono di 5 libri. In essi sono narrati gli avvenimenti tra il 78 a.C. (anno della morte di Silla) e il 67 a.C. (anno della vittoriosa campagna di Gneo Pompeo Magno contro i pirati). Si ricollega così alle Storie di Lucio Cornelio Sisenna, che aveva trattato gli anni compresi tra la guerra sociale e la morte di Silla.

Sono presenti excursus, orazioni ed epistole che interrompono il continuum della narrazione e ne rallentano il ritmo.

Il pessimismo di Sallustio si accentua

Le Historiae di Sallustio presenta lo stesso impianto moralistico delle opere precedenti, anche se qui il pessimismo dell’autore si accentua: la corruzione dei costumi dilaga senza rimedio; a parte poche nobili eccezioni (come Sertorio, campione della libertas che, ribelle a Silla ha fondato in Spagna una nuova repubblica), sulla scena politica si affacciano soprattutto avventurieri, demagoghi e nobili corrotti.

Il pessimismo di Sallustio sembra quindi acuirsi nell’ultima opera; dopo l’uccisione di Cesare e la frustazione delle aspettative riposte nel dittatore, lo storico non ha più una parte dalla quale schierarsi, né aspetta più alcun salvatore.

Cosa resta delle Historiae

L’opera è andata in gran parte perduta. Rimangono un proemio; quattro discorsi (di Lepido, di Cotta, di Filippo, di Licinio Macro); due lettere (di Pompeo e di Mitridate VI) e frammenti.

Di queste lettere ha particolare importanza quella che Sallustio immagina scritta da Mitridate VI, che critica l’imperialismo romano. Dalle parole del sovrano orientale che ha lungamente combattuto contro i Romani affiorano chiaramente i motivi delle lagnanze dei popoli soggiogati e dominati da Roma. Il solo motivo che i Romani hanno di portare guerra a tutte le altre nazioni – scrive Mitridate – è la loro inestinguibile sete di ricchezze e di potere (cupido profunda imperi et divitiarum; Epistulae 6, 5).

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