I Proci nell’Odissea sono i centonove giovani principi di Itaca e delle isole vicine che pretendono di sposare Penelope per diventare sovrani al posto di Odisseo, sicuri che questi è morto. Per anni, gozzovigliano notte e giorno aspettando che Penelope ne scelga uno come nuovo marito, dando fondo alle ricchezze della corte e approfittando delle ancelle.
Perché i Proci si chiamano così?
Il termine Proci deriva dal latino procus, connesso con il verbo precor (“prego”) e con prex, precis (“preghiera, prece”). Proci, divenuto nome proprio per antonomasia, denomina quindi “coloro che chiedono”, “coloro che aspirano”, soprattutto al matrimonio, e corrisponde perfettamente all’omerico mnēstêres (“pretendenti”) a sua volta derivato da un verbo che significa, appunto, “aspirare al matrimonio”.
Qual è il ruolo dei Proci nell’Odissea?
I Proci sono personaggi volgari, malvagi e superbi; tutti i giorni invadono la casa di Odisseo, sotto lo sguardo offeso e indignato di suo figlio Telemaco; si riempiono la pancia di carne e di vino, ubriacandosi senza vergogna.
Si comportano così, per costringere Penelope a cedere alle loro richieste e sposare uno di loro, ma Penelope continua ad aspettare lo sposo scomparso. Per prendere tempo in attesa del ritorno del marito, la sposa di Odisseo ha escogitato un trucco molto intelligente: di giorno tesse una tela per il sudario di Laerte, padre di Odisseo, e di notte la disfa; ha promesso ai Proci che sposerà uno di loro, quando il sudario sarà pronto.
Penelope e i Proci Odissea
Quando l’inganno della tela viene svelato da un’ancella, tutto sembra perduto, ma Odisseo, con l’aiuto dei Feaci, torna finalmente a Itaca. La dea Atena lo trasforma in un mendicante per proteggerlo e per permettergli di pianificare la sua vendetta contro i Proci.
Intanto, Penelope, su ispirazione di Atena, propone ai Proci una sfida: chi di loro riuscirà a scoccare una freccia da un arco appartenuto al re e a farla passare attraverso i fori di dodici scuri piantate sul pavimento, diventerà il suo sposo. Penelope sa bene che nessuno, eccetto Odisseo, è in grado di piegare la corda di quell’arco: ha ideato un altro inganno per guadagnare altro tempo.
La gara ha inizio: i Proci provano a tirare, ma tutti falliscono. A questo punto, interviene l’eroe che chiede il permesso di cimentarsi nella prova. Penelope (ignara del fatto che il mendicante sia Odisseo) acconsente, tra le proteste dei principi.
Odisseo uccide i Proci Odissea
Odisseo riesce a scoccare la freccia e a farla passare attraverso i fori delle dodici scuri infissi sul pavimento. Quindi, fra lo stupore generale, si spoglia delle vesti del mendicante e con una freccia alla gola colpisce a morte Antinoo, il più arrogante dei pretendenti (la morte lo coglie beffarda mentre sta bevendo l’ennesima coppa di vino non suo).
I Proci, vedendo cadere il loro compagno, gridano e corrono a cercare le armi appese alle mura della sala, ma Odisseo le ha fatte rimuovere preventivamente. Odisseo dichiara che ha intenzione di vendicarsi delle ingiustizie subite; li chiama «cani», rinfaccia loro di aver dilapidato il suo patrimonio, insidiato sua moglie, violentate le sue schiave, contravvenendo alle leggi divine sull’ospitalità: meritano pertanto di essere puniti.
Eurimaco, con grande viltà, cerca di far ricadere su Antinoo, ormai morto, la responsabilità di tutti i soprusi. Svela addirittura le sue trame ai danni di Telemaco, sperando così di ingraziarsi Odisseo; sminuisce le colpe proprie e dei compagni e propone al re di Itaca un risarcimento in oro e bronzo. Odisseo rifiuta con fermezza la proposta di Eurimaco: solo la vendetta potrà risarcirlo dei danni subiti.
Eurimaco capisce che non gli resta che combattere: estrae il pugnale e si slancia contro il suo re, che lo colpisce con una freccia e muore.
Affiancato da suo figlio Telemaco e da Eumeo e Filezio, i suoi servi fedeli, Odisseo uccide tutti i pretendenti di Penelope e le ancelle infedeli. Tra i Proci vengono risparmiati solo il cantore Femio e l’araldo Medante, per intercessione di Telemaco.
Le anime dei Proci verranno poi radunate dal dio Ermes e da questi guidate nell’Ade.