Bruto e Cassio, gli assassini di Giulio Cesare (nella nota congiura delle Idi di Marzo del 44 a.C.), furono sconfitti nella battaglia di Filippi, in Macedonia, nel 42 a.C., da Ottaviano e Marco Antonio. Entrambi preferirono il suicidio alla cattura.
La battaglia di Filippi
In realtà ci furono due battaglie di Filippi. Nella prima, svoltasi il 3 ottobre del 42 a.C., Marco Antonio sconfisse Cassio, mentre le forze di Bruto ebbero la meglio su quelle di Ottaviano.
Caio Cassio Longino, però, temendo che anche Marco Giunio Bruto fosse stato sconfitto, ordinò a un liberto di nome Pindaro di ucciderlo usando lo stesso pugnale con cui aveva colpito Giulio Cesare.
Tre settimane dopo, il 23 ottobre, avvenne il secondo scontro, nel quale Bruto fu rovinosamente battuto.
Anche Bruto decise quindi di suicidarsi, trapassandosi il petto con la sua spada, aiutato dal suo amico Stratone. Marco Antonio fece avvolgere il suo corpo nel più prezioso dei suoi mantelli di porpora e lo mandò a sua madre Servilia a Roma.
Porzia, la moglie di Bruto, saputa la notizia della morte si tolse anch’essa la vita.
Plutarco nelle Vite parallele racconta che qualche giorno prima della battaglia a Bruto era apparsa un’ombra nel sonno, forse il fantasma di Cesare. «Chi sei tu? Da dove vieni?», chiese Bruto. «Sono il tuo cattivo demone, Bruto: ci rivedremo a Filippi», rispose l’ombra.
Battaglia di Filippi – conseguenze
Quasi tutti i nobili che avevano seguito Bruto e Cassio perirono in battaglia e gran parte dei loro eserciti passò ai vincitori.
Dopo la battaglia, i tre triumviri (che avevano dato vita al Secondo Triumvirato) si divisero così l’impero: ad Ottaviano le province occidentali, a Marco Antonio le province orientali, a Lepido (che era stato lasciato a guardia dell’Italia) l’Africa.