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Edipo a Colono, Sofocle. Riassunto, commento

Edipo a Colono costituisce la prosecuzione della vicenda raccontata nell’Edipo re.

Sofocle lo compose all’età di novant’anni e un nipote omonimo del poeta lo rappresentò postumo alle Dionisie del 401 a.C.

L’Edipo a Colono, assieme all’Edipo re e all’Antigone, fa parte delle tragedie tebane, ossia relative alla saga dei Labdacidi (ovvero di Laio, Edipo e dei suoi discendenti).

Le tragedie tebane furono composte e rappresentate da Sofocle separatamente, a distanza di decenni; la loro successione cronologica non riflette il corso degli avvenimenti del mito.

Infatti la più antica è l’Antigone, che rappresenta l’episodio conclusivo della storia; segue poi l’Edipo re e infine l’Edipo a Colono.

Edipo a Colono: la trama

Edipo, ormai cieco e mendico, dopo varie peregrinazioni, accompagnato dalla figlia-sorella Antigone, giunge a Colono, nei pressi di Atene. I suoi abitanti, incerti se scacciare il forestiero portatore di contaminazione, sottopongono al re Teseo la questione.

Da Tebe sopraggiunge Ismene, l’altra figlia-sorella di Edipo (perché frutto dell’amore incestuoso con la madre Giocasta), per avvertirlo che i due figli maschi si sono messi uno contro l’altro. Il più giovane, Eteocle, ha infatti usurpato il trono e Polinice, il maggiore, gli muove contro con un esercito.

Entrambi cercano Edipo, perché l’oracolo di Delfi ha predetto che la vittoria è destinata a chi lo avrà con sé, ma non sono disposti a dargli sepoltura in patria perché empio.

Sdegnato, Edipo maledice i figli, che, trascinati dalla smania del potere, hanno lasciato a due inermi fanciulle il compito di curare il padre: essi non avranno mai il suo aiuto.

Sopraggiunge Teseo. Questi già conosce l’identità dello straniero e gli si rivolge con parole pietose e solidali.

Edipo gli chiede la grazia di salvarlo dalle pretese dei figli, e di seppellirlo in quel luogo quando sarà morto, garantendogli in contraccambio eterna e invincibile protezione per la città. Teseo acconsente di buon grado al suo desiderio.

Si presenta in scena Creonte. Egli, con un ipocrita discorso, simula disinteressata compassione per Edipo e Antigone.

Edipo reagisce con aspra violenza: non ora, ma in passato Creonte avrebbe dovuto soccorrerlo. Creonte ora getta la maschera: egli ha davvero la possibilità di costringere Edipo a seguirlo, delle sue figlie una è già nelle sue mani, l’altra la prenderà ora. Creonte strappa allora Antigone dalle braccia del padre e la fa portare via; quindi si accinge a usare la forza anche su Edipo. Accorre Teseo, chiamato dal popolo di Atene che ha assistito alla sopraffazione. Egli trascina con sé Creonte e si avvia a liberare le due giovani.

Teseo torna, riconducendo le figlie al padre. Edipo vorrebbe abbracciarlo, ma non osa avvicinare le sue mani impure. Egli sa di portare su di sé una contaminazione anche se rifiuta di sentirsi colpevole, perché le sue colpe dipesero dall’inesplorabile volere degli dèi.

Si presenta in scena Polinice. Versando lacrime amare, chiede perdono al padre. È stato scacciato da Tebe, ma si ripromette di riconqustare il regno con l’aiuto dell’esercito che ha raccolto ad Argo e non dissimula l’utilità di avere il padre con sé, come profetizzato dall’oracolo.

Il padre, invece, maledice Polinice insieme a suo fratello Eteocle. Il loro unico e vero interesse, infatti, non è prendersi cura del vecchio genitore, ma regnare su Tebe.

Annientato, Polinice non tenta una replica: ora sa di muovere verso la morte, ma non può abbandonare l’impresa e i suoi alleati. Prega le sorelle di rendere gli onori estremi al suo cadavere, mentre rigido e spietato il padre assiste in silenzio al loro addio (nel dramma Antigone, Polinice sarà sepolto dalla sorella Antigone, che morirà per aver infranto gli ordini del re Creonte).

Allontanatosi Polinice, un rombo di tuono annuncia a Edipo la fine della sua vicenda terrena. Accompagnato solo da Teseo, il vecchio si avvia allora verso il boschetto delle Eumenidi. Qui, non udito da alcuno, rivela a Teseo i segreti che i re di Atene dovranno tramandarsi nelle successive generazioni. Essi salveranno Atene dai nemici e la renderanno grande e invincibile nei secoli. Un messo, infine, narra la prodigiosa sparizione di Edipo chiamato finalmente dal dio.

La tragedia si conclude con Teseo che acconsente al desiderio di Antigone, che vuole recarsi a Tebe per tentare di impedire lo scontro fra i due fratelli. Il seguito della storia Sofocle l’aveva già scritto anni prima: l’Antigone.

Commento all’opera

Il dramma nacque in un momento particolarmente drammatico per Atene, impegnata in un faticoso riassetto dopo la guerra contro Sparta (per un approfondimento leggi La guerra del Peloponneso).

Le campagne devastate dalla guerra; un’interminabile sequenza di lutti; una collettività cittadina avvelenata da odi e vendette politiche. E Sofocle, che sentiva la morte avvicinarsi, formula all’indirizzo della città un augurio commovente per bocca di Edipo, il personaggio mitico che più di ogni altro lo aveva affascinato.

Fa di Edipo un esempio vivente della potenza divina e, purificatolo attraverso una morte misteriosa, salvifica e liberatoria, lo restituisce come nume tutelare allo stesso mondo da lui contaminato.

 

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