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Epopea di Gilgamesh riassunto

Epopea di Gilgamesh è il più antico poema epico della storia dell’umanità. Il poema di Gilgamesh ha infatti preso forma in Mesopotamia nel III millennio a.C., secoli prima dei poemi omerici (Iliade e Odissea). È la storia del mitico re della città di Uruk, che compie un lungo viaggio per scoprire il segreto dell’immortalità. Tornerà senza averlo scoperto, ma con un animo molto più saggio.

Gilgamesh mito

Secondo la mitologia mesopotamica, Gilgamesh era figlio di Lugalbanda, terzo re di Uruk, che fu divinizzato dopo la sua morte, e della dea Rimat-Ninsun, quindi era per due terzi un dio e per un terzo un uomo.

Gilgamesh, il protagonista dell’Epopea, probabilmente è realmente esistito (all’incirca tra il 2700 e il 2500 a.C.): può essere stato un sovrano sumero della città di Uruk, nella Mesopotamia meridionale.

I canti epici composti in onore di questo personaggio hanno ingigantito la sua figura; prima si sono diffusi solo oralmente, poi anche per iscritto. Si pensa che intorno al 1500 a.C. un poeta abbia riunito in un poema unitario i canti separati. Del poema si ebbero poi successive versioni e integrazioni, fino alla cosiddetta “versione classica” conservata in dodici tavolette (sulle quali sono incisi circa tremila versi) nella biblioteca di Ninive del re assiro Assurbanipal (VII sec. a.C), a Ninive.

Epopea di Gilgamesh riassunto

L’epopea di Gilgamesh narra le imprese di Gilgamesh e del suo compagno Enkidu.

L’eroe è presentato come il figlio di Lugalbanda, re di Uruk, e della dea Ninsun. Inizialmente è un sovrano che opprime il suo popolo, finché gli dèi decidono di opporgli un terribile antagonista: Enkidu, l’uomo “primordiale”, l’uomo selvaggio abitatore della steppa che vive come gli animali.

Enkidu s’ingentilisce grazie all’incontro con una donna: Shamkhat. Poi va a Uruk e sfida Gilgamesh. Lo scontro è violento e leale, ma nessuno dei due vinse. I due diventano amici, riconoscendosi ugualmente forti e valorosi.

Gilgamesh propone a Enkidu un’impresa: lo scontro con Khubaba, custode della Foresta dei Cedri. L’uccisione del mostro comporterà una redistribuzione dei suoi poteri ad altre entità e divinità. Quando, giunti alla Foresta, abbattono il primo cedro, Khubaba li attacca con tutta la sua potenza. Gilgamesh invoca allora l’aiuto del dio Sole che manda in soccorso i venti più impetuosi: Khubaba rimane paralizzato. Cerca quindi di commuovere Gilgamesh, ma Enkidu invita l’amico a non esitare e l’eroe uccide il mostro.

Dopo questa impresa, la dea dell’amore Ishtar si infatua di Gilgamesh e cerca di sedurlo. L’eroe la rifiuta schernendola. Ishtar, offesa e umiliata, comanda al dio del cielo Anu di inviare sulla Terra il «Toro celeste». Questi massacra centinaia di guerrieri e devasta la città di Uruk, ma Gilgamesh ed Enkidu lo affrontano e lo uccidono.

Gli dèi riuniti in concilio considerano sacrilego il comportamento dei due eroi che hanno ucciso prima Khubaba e poi il Toro celeste: decidono che almeno uno dei due deve morire. La loro scelta cade su Enkidu, perché il re di Uruk ha sangue divino.

Enkidu viene colpito da un’inspiegabile malattia: lotta per dodici giorni tra vaneggiamenti, maledizioni e richieste di aiuto a Gilgamesh, ma alla fine muore.

Gilgamesh non sa darsi pace per la morte dell’amico, che gli preannuncia anche la propria. Gli celebra un sontuoso funerale e poi si mette alla ricerca del segreto dell’immortalità per riscattare l’umanità dal giogo della morte. Per questo egli si rivolge a Utnapishtim, unico uomo sopravvissuto al diluvio universale. Egli gli rivela l’esistenza della pianta dell’immortalità. Gilgamesh la troverà in fondo al mare ma, sulla via del ritorno, essa viene divorata da un serpente. Così l’immortalità toccò al serpente, che ogni anno si rinnova abbandonando la vecchia pelle; Gilgamesh è invece sconfitto e, insieme all’umanità tutta, condannato al destino della morte.

In compenso le sofferenze e le esperienze hanno fatto di lui un uomo saggio, un re capace di opere grandiose. Con questa consapevolezza, ritorna a Uruk. Infine muore e viene celebrato il funerale, mentre tutta la città lo piange.

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