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Questione omerica riassunto

Per questione omerica si intende il dibattito nato tra gli studiosi intorno alle modalità della composizione dell’Iliade e dell’Odissea.

In particolare, ci si è chiesto se i due poemi siano opera di uno stesso autore o di uno o più autori diversi; se questo autore possa essere identificato o meno con Omero; e, infine, se Omero sia effettivamente esistito o se non sia piuttosto una figura leggendaria.

È questo il grande interrogativo della questione omerica, la più antica questione letteraria di ogni tempo, dal momento che essa conta oltre duemila anni di vita. Non si sono mai raggiunte conclusioni definitive e forse non sarà mai possibile stabilirle con piena certezza.

Questione omerica nell’antichità

Gli antichi non dubitarono mai dell’esitenza di Omero. Si limitarono al più a negargli la paternità di entrambi i poemi, così diversi tra loro per i contenuti, i temi trattati e lo stile.

Così fecero Xenone ed Ellanico (III secolo a.C.), che attribuivano ad Omero solo l’Iliade e per questo furono detti separatisti.

Di parere opposto, invece, fu il più grande filologo dell’antichità, Aristarco di Samotracia (II secolo a.C.) che, con gli altri cosiddetti unitari, considerò l’Odissea una continuazione dell’Iliade, composta anni dopo ma dallo stesso poeta.

Questione omerica in età moderna

La questione omerica (cioè la questione dell’origine e della paternità dell’Iliade e dell’Odissea) riesplose più tardi, a partire dal secolo XVII dell’età moderna:

  • secondo F. Hédelin abate d’Aubignac (1664) l’Iliade è solo una rozza ricucitura di canti composti in epoche diverse e da diversi autori: Omero non è mai esistito;
  • per il filosofo napoletano Giambattista Vico (1744) i poemi omerici sono una creazione collettiva del popolo greco. Moltissimi anonimi poeti avrebbero quindi collaborato a costruire il patrimonio collettivo di miti e racconti, poi confluiti nell’Iliade e nell’Odissea;
  • anche il filologo tedesco F. A. Wolf (1795) sostenne che la tradizione epica avesse elaborato dei canti separati, composti e recitati da cantori che non usavano la scrittura, e che fossero poi stati “cuciti” e fissati solo nel VI secolo a.C. Wolf venne considerato il vero e proprio fondatore della successiva critica analitica, fra i cui esponenti:

G. Hermann (1846) ritiene che i poemi derivino dall’ampliamento di due antichi canti originari, uno sull’ira di Achille e l’altro sul ritorno di Odisseo;

K. Lachmann e A. Kirchhoff (XIX sec.) individuano, il primo mell’Iliade e il secondo nell’Odissea, dei nuclei primitivi da cui i due poemi si sarebbero formati per aggregazione;

– U. von Wilamowitz (XIX-XX sec.) riprende la tesi dei nuclei primitivi, ma ipotizza anche l’esistenza di una forte personalità poetica che avrebbe rielaborato l’antico materiale;

G. Jachmann (anni Cinquanta del XX sec.) ritorna su posizioni rigidamente antiunitarie, negando addirittura valore poetico a gran parte dell’Iliade.

A partire da W. Schadewaldt (anni Quaranta del XX sec.) ha ripreso vigore al tesi unitaria; egli afferma l’esistenza di un solo grande poeta, ideatore di un progetto ben preciso.

Milman Parry e la teoria oralistica

Un contributo innovativo alla questione omerica venne da un saggio pubblicato da Milman Parry nel 1928. Egli concentrò la sua attenzione sugli epiteti formulari che accompagnano il nome degli eroi (per esempio: Achille dal piede veloce, Ettore dall’elmo abbagliante, il paziente nobile Odisseo) per descrivere un personaggio o una situazione ricorrente, consentendo in questo modo di tenere in mente un numero anche molto elevato di versi. In un primo tempo essi furono solo cantati poi definitivamente fissati mediante la scrittura.

Milman Parry, nel sostenere la sua tesi di una primitiva composizione orale dei due poemi, raffrontò la tecnica formulare adoperata nell’Iliade e nell’Odissea con quella adoperata dai guslari, cantori popolari della regione serbo-croata, presso cui egli soggiornò per studiare dal vivo quelle antiche forme di epica orale. Nel 1934, su sua richiesta, uno di questi cantastorie, anziano e semianalfabeta, cominciò a recitare un poema lungo quanto l’Odissea, componendolo verso dopo verso in modo improvvisato e impiegando, con qualche intervallo, due settimane per condurlo a termine.

Il contributo di Milman Parry sull’oralità è stato fondamentale, ma non ha risolto del tutto la questione omerica, che resta probabilmente un problema insolubile.

 

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