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Dodici Tavole, prime leggi scritte di Roma

Le Dodici Tavole rappresentano le prime leggi scritte di Roma.

Le Dodici Tavole: la storia

All’inizio della Roma repubblicana non esistevano leggi scritte e i plebei erano sottoposti all’arbitrio dei giudici patrizi. La situazione sempre più tesa portò i patrizi a cedere. Nel 451 a.C. si nominò allora una commissione di dieci membri tutti patrizi, i decemviri, con l’incarico di redigere le leggi.

Il primo collegio decemvirale, presieduto da Appio Claudio Crasso, concluse i lavori dopo un anno, con la redazione di dieci tavole. Nel 450 a.C. si nominò una nuova commissione aperta, questa volta, anche ai membri di origine plebea, presieduta dallo stesso Appio Claudio Crasso. Questo secondo decemvirato elaborò altre due tavole di leggi.

Le XII Tavole, sarebbero rimaste per molti secoli, così come scrisse Livio, «la fonte di tutto il diritto privato e pubblico».

Per i Romani le leggi delle 12 Tavole rappresentavano un patrimonio culturale fondamentale, tanto che, all’età di Cicerone – ben quattro secoli dopo la loro stesura – i bambini le imparavano a memoria.

Le Dodici Tavole rimasero esposte nel foro sino al 390 a.C., quando andarono distrutte durante l’invasione e il saccheggio dei Galli di Brenno. Rripubblicate verso il 200 a.C., sicuramente in forma rimaneggiata.

Le Dodici Tavole: il contenuto

Non si possiede quindi un testo integro della legislazione ma solo frammenti provenienti da fonti successive, che spesso li riportano in un latino che non è quello del V secolo a.C. Alcuni dei frammenti rimasti sono di difficile interpretazione; del resto si trattava di un testo scritto in un latino arcaico che gli stessi Romani secoli dopo ebbero difficoltà a comprendere. È andata inoltre perduta per sempre la sequenza delle varie norme. Quello che resta tuttavia rappresenta un documento di eccezionale importanza sulla società romana del V secolo a.C.

Le Dodici Tavole si occupavano soprattutto di rapporti di natura “privata”, di diritto civile come diremmo oggi; per esempio, ribadivano il divieto di matrimonio fra patrizi e plebei e confermavano, forse con qualche limitazione, l’amplissimo potere del pater familias.

Era poi impressionante la durezza con cui era trattato il debitore insolvente: il creditore aveva il diritto di trascinarlo a casa propria e d’incatenarlo. Il debitore veniva poi condotto per tre volte al mercato, perché qualcuno lo riscattasse o lo acquistasse come schiavo. Se questo non accadeva, poteva essere ucciso, e se i creditori erano più di uno, il suo corpo era squartato.

Come in tutte le società arcaiche, alcuni risarcimenti erano effettuati attraverso la pratica del taglione (la legge fissava tuttavia i limiti). Per esempio, se qualcuno infliggeva una mutilazione a un altro, quest’ultimo poteva infliggergli la stessa mutilazione, ma solo se il colpevole si era rifiutato d’indennizzarlo.

Le leggi delle XII Tavole forniscono anche dati preziosi sulla mentalità dell’epoca. Le tensioni e le invidie tra gli individui, per esempio, sfociavano spesso in sortilegi e in malefici, che la legge puniva severamente. Per esempio alcune disposizioni punivano con la morte chi compiva magie o incantesimi a danno dei campi raccolti.  Se ne comprende il senso se la si colloca nel quadro di una società che aveva nell’agricoltura la fonte essenziale di sostentamento e che, inoltre, vedeva nei riti magici un’alterazione dei corretti rapporti con le divinità, a scapito di tutta la comunità e non solo del singolo danneggiato.

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