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Canto 33 Paradiso riassunto e spiegazione

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Il Canto 33 Paradiso di Dante Alighieri è l’ultimo canto della Divina Commedia. Ci troviamo nell’Empireo, cielo di pura luce dove risiedono gli angeli e i beati, raccolti in contemplazione di Dio nella “candida rosa”, una sorta di anfiteatro con sedili a forma di rosa, al centro della quale siede la Vergine Maria. In quest’ultimo canto del Paradiso il viaggio ultraterreno di Dante giunge a compimento.

Cosa succede nel canto 33 Paradiso?

L’ultimo canto del Paradiso, cioè il canto XXXIII Paradiso, si divide in due parti principali:

  • la preghiera di San Bernardo alla Vergine, perché Dante possa accedere, grazie alla sua intercessione, alla visione di Dio (vv. 1-45);
  • la progressiva conquista da parte di Dante della diretta visione di Dio, che la mente umana non può comprendere e nessuna lingua può descrivere; Dante potrà quindi offrirne solo un’immagine tenue e sbiadita, come chi si sveglia da un sogno meraviglioso (vv. 46-145).

Perché Dante sceglie San Bernardo per innalzarsi alla visione di Dio?

Si tratta di San Bernardo di Chiaravalle, terza guida di Dante nel suo viaggio ultraterreno nei canti 31, 32 e 33. Bernardo di Chiaravalle (1090-1153), durante la sua vita, aveva contribuito con enorme passione e carità all’affermazione e alla diffusione del culto della Madonna. Dante stesso era poi un devoto della Madre di Dio. Era monaco cistercense: era cioè di quei monaci benedettini inclini a interpretare nel modo più rigoroso la Regola benedettina. Bernardo di Chiaravalle, autore di opere ascetiche ben note a Dante, rappresenta la contemplazione, lo stato di grazia dovuto alla fede proprio dei mistici, unica condizione spirituale che permetta una visione pura di Dio. A questo punto, infatti, nemmeno la Teologia (di cui è allegoria Beatrice) può più essere sufficiente al pellegrino Dante, che per accostarsi a Dio necessita di un abbandono alla fede ancora più completo.

Paradiso Canto 33: la preghiera di San Bernardo alla Vergine perché Dante possa accedere alla visione di Dio (vv. 1-45)

La prima parte del Canto 33 del Paradiso è occupata dalla lunga preghiera che san Bernardo rivolge alla Vergine Maria.

Il beato esalta Maria come simbolo di umiltà e grandezza, e come ponte tra l’umanità e il divino. La Vergine è descritta come piena di grazia, capace di ascoltare e di accogliere le suppliche giuste: la sua intercessione è vista come un atto di misericordia, pietà e magnificenza. San Bernardo spiega che Dante è giunto all’Empireo dal profondo dell’Inferno e ha visto lo stato delle anime dopo la morte, quindi supplica la Vergine di intercedere perché a Dante sia data la forza di fissare lo sguardo verso Dio. Il santo desidera questo per Dante più di quanto lo abbia mai desiderato per sé. Bernardo chiede anche un’altra grazia: che, una volta tornato sulla Terra per testimoniare ciò che ha visto, Dante si conservi puro, giusto e libero dal peccato.

Alla preghiera di Bernardo si unisce quella di tutti i beati e in particolare quella di Beatrice (ricordata qui per l’ultima volta nel poema).

La Vergine prima fissa benevolmente Bernardo, dimostrando così di accogliere la sua preghiera; poi rivolge il suo sguardo alla luce di Dio con un’intensità e una capacità di penetrazione concesse solo a lei.

Paradiso Canto 33: la progressiva conquista da parte di Dante della diretta visione di Dio, fino alla folgorazione finale (vv. 46-145)

Dante sente in sé nuova forza e, senza che ci sia bisogno che il santo lo esorti a farlo, alza gli occhi a Dio. La vista di Dante diventa via via più chiara e si inoltra nella luce divina. Il poeta dice che il linguaggio non è in grado di descrivere ciò che vide e del resto egli non ne ha conservato un ricordo distinto: è nelle condizioni di uno che abbia avuto un sogno meraviglioso, del quale però perdura nell’animo l’emozione della visione, mentre il contenuto del sogno si è dileguato dalla mente, così come la neve che si scioglie al sole oppure come voci che si perdono nel vento.

Dante quindi invoca Dio perché gli sia concessa la forza di ridire almeno una minima parte di ciò che vide.

Il poeta racconta di essere penetrato con lo sguardo nella luce diretta di Dio fino a congiungersi a Lui, e ricorda di aver visto in esso la presenza e l’unione perfetta di tutte le realtà. La perfezione in conoscenza, beatitudine e carità dello sguardo in Dio rende però impossibile tanto il distorgliersi da esso quanto il riferirne l’esperienza. Ormai ciò che riferirà della visione sarà meno di quanto potrebbe dire un bambino che sia ancora allattato dalla madre (e quindi non è ancora in grado di parlare).

Annunciando di essere ormai giunto all’ultimo momento della narrazione, Dante afferma di aver visto nel punto più profondo della luce divina tre cerchi, di tre colori diversi ma della stessa ampiezza. Si tratta delle tre persone della Trinità (Padre, Figlio e Spirito Santo). Sono di tre colori diversi, perché tre persone distinte, e della stessa ampiezza, perché consustanziali (identici quanto alla sostanza e alla natura).

Dante dice che uno dei due cerchi gli appariva riflesso dall’altro, cioè generato per riflessione dall’altro – vale a dire il Figlio dal Padre – e il terzo gli appariva come fuoco che spirasse ugualmente dagli altri due – cioè lo Spirito Santo. Fissando con particolare amore il cerchio raffigurante il Figlio, Dante intravvede in esso la figura umana: è la visione dell’Incarnazione del Verbo: cerchio e figura umana gli appaiono insieme a rivelargli – nel Cristo – l’unione del Divino e dell’umano.

Quella visione appare a Dante come un’immagine incomprensibile: egli non riesce a comprendere come un cerchio e la figura umana possano convenire insieme, cioè come possa esistere l’Uomo-Dio e si paragona al matematico che si affanna a ricercare inutilmente il rapporto esatto fra la circonferenza e il diametro del cerchio. Vi è dunque un attimo nella sua visione in cui egli è sì tutto intento alla contemplazione, ma non comprende ancora ciò che vede.

Non dimentichiamo che Dante è lassù ancora in possesso della sua umanità terrena; e ciò che a lui importa soprattutto è far comprendere che l’Incarnazione divina non può essere compresa dal solo intuito dell’intelligenza umana.

Ma ecco – racconta Dante – che un lampo di luce sovrumana colpì la sua mente ed egli poté comprendere, con l’aiuto della Grazia, l’inaccessibile mistero e la sua anima si placò nella perfetta beatitudine e si unì all’armonia universale di Dio: ma fu un attimo, un brevissimo istante. Poi la visione svanì.

Il grande viaggio, la grande fantasia si erano conclusi, perché così aveva voluto Dio, l’amore che muove il sole e le altre stelle.

 

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