Il Purismo nasce come reazione alla libertà linguistica per cui si erano battuti gli illuministi della rivista “Il Caffè” e si rifaceva alla teoria di Pietro Bembo (Prose della volgar lingua, 1525).
Il Purismo propugnava l’assoluta “purezza” della lingua. Questa doveva essere depurata da ogni forestierismo e da ogni neologismo.
Il modello doveva essere cercato nella lingua degli scrittori toscani del Trecento (Dante, Petrarca e Boccaccio), il cui lessico e i cui modi espressivi erano ritenuti perfettamente in grado di rispondere alle esigenze della cultura moderna.
Tra i puristi di più rigida osservanza si annoverano Antonio Cesari (1760-1828), che curò la ristampa del Vocabolario della Crusca, e Basilio Puoti (1782-1847). Entrambi ritengono vero e proprio modello solo la purezza e la semplicità della lingua del Trecento.
Posizioni più moderne e aperte assunse invece Pietro Giordani (1774-1848), che fu legato a Giacomo Leopardi da una fervida amicizia intellettuale.
Il purismo di Pietro Giordani non fu rigido come quello di Antonio Cesari e Basilio Puoti. Il suo ideale fu quello di un dignitoso e sobrio classicismo formale, che si rifacesse alla limpidezza dello stile greco. Di orientamento laico, progressista e patriottico, egli affermò l’esigenza di una letteratura ispirata ad elevati sentimenti morali e all’idea della rinascita nazionale. In nome di questi principi patriottici si oppose poi al Romanticismo, che apriva la cultura italiana alle influenze straniere.
Alla rigidezza pedanteca del Purismo reagì anche Vincenzo Monti, pur sempre dall’interno del gusto classicistico. Monti sostenne l’esigenza di una lingua letteraria nazionale che non si fermasse al Trecento, ma mettesse a frutto gli apporti di tutti i grandi scrittori, anche moderni come Giuseppe Parini e Vittorio Afieri, in nome di un equilibrio fra ossequio alla tradizione e libertà espressiva.