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Vincenzo Monti, esponente del Neoclassicismo

Vincenzo Monti (1754-1828) è il massimo esponente del Neoclassicismo letterario italiano. Ebbe una lunga vita che lo portò ad attraversare le complesse vicende a cavallo di due secoli. Abbiamo preparato per te Vincenzo Monti riassunto per studiare e ripassare in modo facile e completo la vita e le opere più importanti del letterato più rappresentativo dell’età napoleonica.

Vincenzo Monti vita e opere

Nasce a Fusignano di Alfonsine, presso Ravenna, il 19 febbraio 1754. La sua è una famiglia di proprietari terrieri.

Svolge gli studi dapprima nel seminario di Faenza; poi, dal 1771 presso l’Università di Ferrara, dove studia medicina e giurispudenza.

La sua strada si rivela ben presto quello della letteratura. Nel 1775 è accolto infatti nell’accademia dell’Arcadia e nel 1776 pubblica il suo primo libro di versi, La visione di Ezechiello, dedicato al cardinale Scipione Borghese. Il successo dell’opera e la protezione del cardinale gli permettono di trasferirsi a Roma.

Gli anni romani

A Roma Monti vive dal 1778 al 1797. È il periodo più importante perché avviene la formazione artistica e culturale del poeta. Al periodo romano appartengono:

  • le odi Prosopopea di Pericle (1779) e Al signor di Montgolfier (1784). La prima prende spunto dalla scoperta di un busto di Pericle ed è scritta per esaltare la rinascita culturale di Roma sotto Pio VI; la seconda dedicata al primo volo in pallone aerostatico;
  • molti altri testi lirici d’occasione, per lo più raccolti nel Saggio di poesie (1779), e nei Versi (1783);
  • del 1781 è il poemetto La bellezza dell’universo, scritto sul modelllo del Mondo creato di Tasso;
  • del 1782 sono gli Sciolti a Sigismondo Chigi e i Pensieri d’amore, ispirati al Werther di Goethe;
  • due tragedie, l’Aristodemo (1786) e il Galeotto Manfredi (1788);
  • la Feroniade, pubblicata postuma nel 1832, per esaltare il progetto di risanamento delle paludi Pontine;
  • la Bassvilliana (1793), in cui, prendendo spunto dall’assassinio a Roma del rivoluzionario francese Nicolas-Jean Hugou de Bassville, convertitosi in punto di morte, condanna gli orrori della Rivoluzione francese e celebra la grandezza della fede redentrice.

Intanto a Roma sposa, nel 1791 Teresa Pikler. Avranno due figli: Costanza (1792) e Francesco (1794), morto a soli due anni.

Gli anni milanesi

Nel 1797, sospettato di simpatie giacobine, sotto la protezione di Napoleone, fugge da Roma per Milano, dove resterà fino alla morte.

Qui, al fine di esaltare Napoleone, compone:

  • Prometeo (1797);
  • l’ode Per la liberazione d’Italia (1801);
  • In morte di Lorenzo Mascheroni (1801), un poema in cinque atti, dedicato allo scienziato appena morto, in cui Monti si duole delle difficili condizioni italiane e riafferma la propria fiducia in Napoleone (1801-1802);
  • la tragedia Caio Gracco (1802).

È ricompensato con la nomina a poeta del governo italiano (1804) e a storiografo del Regno d’Italia (1806).

Vincenzo Monti Iliade

Nel 1810 pubblica la traduzione dell’Iliade di Omero. L’Iliade di Omero è considerata il suo capolavoro, pur avendo travisato il testo omerico con libere interpretazioni. A chi lo accusava di scarsa aderenza al testo rispondeva di preferire una «bella infedele» a una «brutta infedele».

Gli anni della Restaurazione

Alla caduta di Napoleone, Monti si schiera subito con i vincitori austriaci. Ad essi dedica i lavori teatrali:

  • Il mistico omaggio (1815);
  • Il ritorno d’Astrea (1816);
  • Invito a Pallade (1819).

Collabora inoltre alla filoaustriaca «Biblioteca italiana».

Scrive la sua ultima opera a più di settant’anni, Pel giorno onomastico della mia donna Teresa Pikler (1826).

Gli ultimi anni e la morte di Vincenzo Monti

Gli ultimi anni sono funestati da gravi problemi agli occhi e da una paralisi. Muore a Milano, dopo numerose sofferenze fisiche, il 13 ottobre 1828.

Il giudizio critico su Vincenzo Monti

Più voci criticano la sua plateale disponibilità a cambiare collocazione politica e la sua totale mancanza di coerenza.

Giacomo Leopardi lo definì «poeta dell’orecchio e dell’immaginazione, del cuore in nessun modo», mettendo in rilievo la povertà del suo impegno umano e spirituale.

Per il Monti, del resto, la poesia doveva essenzialmente produrre «meraviglia e diletto», adornare la realtà, ritenuta rigida e meschina, con colori e immagini belle, tratte dai poeti antichi e dagli antichi miti che egli sentì come forme perfette e sempre attuali.

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