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Tiresia: chi era il celebre indovino tebano

Tiresia, celebre indovino tebano, era figlio di Evereo e della ninfa Cariclo. Fu privato della vista ottenendo però il dono della profezia; conservò il privilegio della veggenza anche dopo la morte.

Chi accecò Tiresia?

Vi sono varie versioni di come Tiresia abbia acquisito il dono della profezia; la più celebre è la seguente: un giorno, sul monte Citerone, vide due serpenti che stavano accoppiandosi; uccise il serpente femmina ed egli venne trasformato in una donna. Sette anni dopo, assistendo alla medesima scena, uccise il serpente maschio e ridivenne uomo.

Dopo che ritornò uomo, intervenne nel litigio tra Zeus ed Era quando, litigando su chi, tra uomo e donna, provasse maggior godimento nell’amore, decisero di consultare Tiresia, l’unico che aveva provato la doppia esperienza.

Egli assicurò che il piacere della donna era nove volte superiore a quello dell’uomo. Era, la moglie di Zeus allora, per punirlo di questa rivelazione, lo accecò, ma Zeus, per risarcirlo, gli diede il dono della preveggenza, che avrebbe conservato anche dopo la morte.

Secondo un’altra versione Tiresia perse la vista, dopo aver visto la dea Atena nuda. In seguito ai lamenti di Cariclo, Atena gli concesse la preveggenza.

Infine, c’è una terza e ultima versione secondo la quale furono gli dei, adirati delle sue profezie sul loro conto, a decidere di togliergli la vista.

Come morì Tiresia?

Anche sulla sua morte ci sono due versioni. Nella prima, nel corso dell’attacco degli Epigoni contro Tebe, Tiresia fuggì dalla città insieme ai Tebani; stremato, si fermò a riposare nei pressi della fonte Telfussa dalla quale bevve dell’acqua gelata e morì. In un’altra versione l’indovino, rimasto a Tebe con la figlia Manto, fu fatto prigioniero e mandato a Delfi con la figlia, per essere consacrati al dio Apollo, ma Tiresia morì per la fatica durante il cammino.

In quali opere compare?

Compare nell’Odissea, quando Ulisse sceso nell’Ade lo interroga e ne riceve profezie, e la sua storia è narrata nelle Metamorfosi di Ovidio e da Stazio nella Tebaide.

È ricordato da Dante, insieme a sua figlia Manto, nel canto 20 dell’Inferno, nella quarta bolgia dell’ottavo cerchio dei fraudolenti, tra gli incantatori e gli indovini.

 

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