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Critica della ragion pura – spiegato semplice

Critica della ragion pura è l’opera fondamentale della filosofia di Immanuel Kant. Ad essa lavorò tra il 1770 e il 1781. Pubblicata una prima volta a Riga nel 1781, uscì poi in una seconda edizione ampiamente riveduta nel 1787.

Nella Critica della ragion pura il problema trattato è quello della conoscenza. Secondo Kant, le maggiori filosofie tradizionali, il razionalismo e l’empirismo, non hanno saputo giustificare appieno il giudizio conoscitivo.

Il razionalismo, infatti, movendo da una concezione innatistica, pur giustificando il conoscere come fatto a priori e quindi necessario e universale, non riesce a spiegare come il sapere abbia poi una capacità espansiva e creativa.

L’empirismo, a sua volta, partendo dal presupposto che la conoscenza deriva unicamente dall’esperienza, se riesce a giustificare la capacità espansiva del sapere, non riesce poi a dimostrare come questo sia universale e necessario.

Kant ritiene che il giudizio possa essere considerato valido solo quando ne sia garantita la universalità e la necessità intrinseca, e sia perciò a priori, e nello stesso tempo ne sia anche dimostrata la capacità espansiva, la fecondità, e sia cioè sintetico. Si propone quindi di esaminare il sapere: se esso è basato su giudizi sintetici a priori allora, e solo allora, si tratterà di un sapere del tutto valido.

Quindi ricostruisce i successivi momenti della conoscenza. Il primo è quello della sensibilità, studiato nell’estetica trascendentale e caratterizzato dal fatto che la sensibilità è attività intuitiva spazio-temporalizzatrice. Pertanto lo spazio e il tempo sono le pure forme a priori della sensibilità, mediante le quali tutto si costituisce nello spazio e nel tempo, i quali non sono ricavati dall’esperienza, ma sono una pura condizione perché l’esperienza possa costituirsi; la geometria e la matematica sono le due scienze appunto costruite mediante queste attività a priori.

Il momento successivo della conoscenza è quello dell’intelletto studiato nell’analitica trascendentale. Anche l’intelletto è attività che opera secondo pure forme a priori o categorie (causa-effetto, sostanza-accidente, ecc.), che organizzano e sistemano ciò che la sensibilità ha già disposto nello spazio e nel tempo.

La fisica e le scienze naturali sono appunto il prodotto di questa attività dell’intelletto e pertanto sono scienze rigorosamente valide perché basate su giudizi sintetici a priori: «sintetici» in quanto attraverso l’esperienza il sapere si allarga sempre di più; «a priori» perchè questa esperienza si costituisce mediante le categorie che precedono l’esperienza stessa.

Nella dialettica trascendentale, infine, Kant esamina l’attività della ragione che, al di là del sapere fornito dall’intelletto nell’ambito della esperienza, mira a cogliere la totalità, cioè l’assieme di tutti i fenomeni, la causa totale e assoluta (Dio) e l’esistenza dell’anima.

In questo sforzo grandioso la ragione usa però illegittimamente le categorie intellettuali e fallisce quindi il suo compito, pertanto una metafisica come scienza è per Kant impossibile.

Il senso di una realtà assoluta e totale è tuttavia molto vivo; pertanto Kant è indotto ad ammettere che al di là dell’esperienza, cioè del mondo fenomenico, sia almeno pensabile una realtà in sé, il noumeno.

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