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La morte di Seneca raccontata da Tacito

La morte di Seneca, costretto al suicidio, come raccontata da Tacito, riassunto di Letteratura latina

La morte di Seneca: antefatto

Seneca fu spinto al suicidio da Nerone, che lo accusava di aver partecipato alla congiura dei Pisoni, una trama ordita per abbattere Nerone e innalzare al trono un giovane senatore, Gaio Calpurnio Pisone.

Questi i fatti: era il 65 d.C., da tre anni ormai, da quando era morto Afranio Burro e Seneca si era ritirato a vita privata, Nerone, finalmente libero da ogni tutela e sotto l’influsso del famigerato Tigellino, il nuovo prefetto del pretorio, imperversava con la sua crudeltà e dava scandalo per atti di assoluta immoralità.
Gli eccessi dell’imperatore, sfuggito ormai a ogni controllo, spinsero un gruppo di senatori, cavalieri e intellettuali a ordire una congiura; la guidava il nobile Gaio Calpurnio Pisone. I cospiratori furono traditi dal liberto Milico. La reazione di Nerone fu energica e spietata: alcuni furono processati e condannati a morte, altri furono mandati in esilio o costretti a suicidarsi: in quest’ultimo contesto si colloca la morte di Seneca.

La morte di Seneca raccontata da Tacito

Seneca sicuramente era a conoscenza della cospirazione, ma con ogni probabilità non vi partecipò. Conosciamo bene gli ultimi momenti della sua vita dal racconto di Tacito, che vi dedica cinque capitoli (Annales, XV, 60-64).
Un giorno a Seneca, mentre di ritorno dalla Campania si trovava in un suo podere a quattro miglia da Roma e cenava con la moglie Paolina e due amici, si presentò il tribuno dei pretoriani Gaio Silvano incaricato da Nerone di intimare la morte a Seneca: ma preferì che a compiere questo triste ufficio fosse un centurione.

La morte di Seneca: Tacito, Annales, 62

(62, 1) Seneca, impavido, chiese che gli portassero le tavole del testamento e, poiché il centurione rifiutò, si volse agli amici dichiarando che, dal momento che gli si impediva di dimostrare la sua gratitudine, lasciava a loro la sola cosa che possedeva e la più bella, l’esempio della sua vita. Se avessero di questa conservato ricordo, avrebbero conseguito la gloria della virtù come compenso di amicizia fedele. (2) Frenava, intanto, le lacrime dei presenti ora col semplice ragionamento, ora parlando con maggior energia e, richiamando gli amici alla fortezza dell’animo, chiedeva loro dove fossero i precetti della saggezza, e dove quelle meditazioni che la ragione aveva dettato per tanti anni contro la fatalità della sorte. A chi mai, infatti, era stata ignota la ferocia di Nerone? Non gli rimaneva ormai più, dopo aver ucciso madre e fratello, che aggiungere l’assassinio del suo educatore e maestro.

La morte di Seneca: Tacito, Annales, 63

(63, 1) Come ebbe rivolto a tutti queste parole ed altre dello stesso tenore, abbracciò la moglie e, un po’ commosso dinnanzi alla sorte che in quel momento si compiva, la pregò e la scongiurò di placare il suo dolore e di non lasciarsi per l’avvenire abbattere da esso, ma di trovare nel ricordo della sua vita virtuosa dignitoso aiuto a sopportare l’accorato rimpianto del marito perduto. La moglie dichiarò, invece, che anche a lei era destinata la morte, e chiese la mano del carnefice. (2) Allora Seneca, sia che non volesse opporsi alla gloria della moglie, sia che fosse mosso dal timore di lasciare esposta alle offese di Nerone colei che era unicamente diletta al suo cuore: «Io ti avevo mostrato», disse, «come alleviare il dolore della tua vita, tu, invece, hai preferito l’onore della morte: non sarò io a distorglierti dall’offrire un tale esempio. Il coraggio di questa fine intrepida sarà maggiore nella tua morte». Dette queste parole, da un solo colpo ebbero recise le vene del braccio. (3) Seneca, poiché il suo corpo vecchio ed indebolito dal poco cibo  offriva una lenta uscita al sangue, si recise anche le vene delle gambe e delle ginocchia, ed abbattuto da crudeli sofferenze, per non fiaccare il coraggio della moglie e per non essere trascinato egli stesso a cedere di fronte ai tormenti di lei, la indusse a passare in un’altra stanza. Anche negli estremi momenti non essendogli venuta meno l’eloquenza, chiamati gli scrivani, dettò molte pagine, che testualmente divulgate tralascio di riferire con altre parole.

La morte di Seneca: Tacito, Annales, 64

(64, 1) Pertanto Nerone, non avendo alcun rancore personale contro Paolina, diè l’ordine di impedirne la morte perché non s’accrescesse l’odiosità della sua ferocia. All’imposizione dei soldati i servi e i liberti legando le braccia trattennero il sangue a lei che non sappiamo se di tutto ciò avesse o no la sensibilità. (2) Poiché il volgo è sempre incline a credere le cose peggiori, non mancarono coloro che credevano che, fino al momento in cui ebbe ragione di temere l’implacabilità di Nerone, Paolina aspirò alla gloria di unire la sua morte a quella del marito, poi, colto un barlume di speranza di più mite sorte, fu vinta dalle lusinghe della vita. Visse ancora pochi anni, conservando sacra memoria del marito, nel volto e nel corpo bianco di quel pallore che era segno palese della vitalità perduta. (3) Seneca, frattanto, protraendosi la morte lenta, pregò Anneo Stazio da lungo tempo amico suo e famoso per l’arte medica, di propinargli quel veleno già da tempo provveduto, col quale si facevano morire gli Ateniesi condannati in pubblico giudizio. Avutolo, lo tragugiò invano perché il gelo aveva già invaso le membra ed il corpo era ormai refrattario all’azione del veleno. (4) Alla fine, entrò in una vasca piena d’acqua, spruzzandone i servi più vicini a lui e dicendo di fare con quel liquido libazione a Giove liberatore. Fu portato poi in un bagno a vapore dove morì soffocato. Fu cremato senza alcuna solenne cerimonia funebre, come aveva prescritto nel suo testamento, quando ancora nel pieno della ricchezza e della potenza aveva dato disposizioni intorno alle sue ultime volontà.

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