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Promessi Sposi capitolo 15 Riassunto

Promessi Sposi capitolo 15 Riassunto dettagliato, analisi e commento degli avvenimenti, luoghi e personaggi del celebre romanzo di Alessandro Manzoni

Promessi Sposi capitolo 15 Riassunto: L’oste della Luna Piena accompagna Renzo, completamente ubriaco, in una camera dell’osteria. Subito dopo si reca dal notaio criminale per sporgere denuncia

L’oste, vedendo Renzo ormai del tutto incapace di reggersi da solo, lo accompagna in una camera dell’osteria, dove cerca con buona grazia, di convincerlo a dargli le sue generalità. Ma Renzo, ubriaco, reagisce sbraitando. All’oste non resta che decidere di andare a denunciarlo, per non incorrere, a sua volta, in seri guai. Perciò, dopo aver fatto a sua moglie svariate raccomandazioni, si avvia al Palazzo di Giustizia e, strada facendo, in un suo soliloquio iniziato accanto al fuoco, impreca contro la cocciutaggine del giovane («testardo d’un montanaro»). Lo accusa, in cuor suo, d’ingenuità e di voler inseguire progetti improbabili («e tu, pezzo d’asino, per aver visto un po’ di gente in giro a far baccano, ti sei cacciato in testa che il mondo abbia a mutarsi»).

L’oste vorrebbe evitare di nuocere Renzo, ha cercato sino all’ultimo di salvare se stesso e il giovane («io facevo di tutto per salvarti e tu, bestia, in contraccambio, c’è mancato poco che non m’hai messo sottosopra l’osteria»); sono le circostanze che lo obbligano a denunciarlo («e per un povero oste che fosse del tuo parere, e non domandasse il nome di chi capita a favorirlo, sai tu, bestia, cosa c’è di bello?… trecento scudi… ed in caso di inabilità, cinque anni di galera, e maggior pena, pecuniaria o corporale, all’arbitrio di sua eccellenza»).

Si nota, dunque, che l’oste prova un sincero rammarico per Renzo e lo disturba il dover collaborare con le autorità, per le quali non prova alcuna stima («vide venire una pattuglia di soldati; e tirandosi da parte, per lasciarli passare, li guardò con la coda dell’occhio, e continuò tra sé: eccoli i gastigamatti»).

Intanto l’oste è giunto al Palazzo di Giustizia. Esso formicola di persone: c’è un gran via vai di gente che porta e riceve ordini. Sono mobilitati soldati e spie, una delle quali, il sedicente Ambrogio Fusella, ha appena fatto la sua relazione, denunciando Renzo e accusandolo di essere uno dei fomentatori della rivolta.

Il notaio criminale (una sorta di commissario di polizia, con compiti di giudice) non accoglie benevolmente l’oste, in fondo non gli rivela nulla di nuovo («avete fatto il vostro dovere a informar la giustizia; – disse il notaio criminale, mettendo giù la penna, – ma già lo sapevamo»). L’oste, invece, si stupisce dell’abilità con cui è stato carpito quel nome e cognome che a lui non è proprio riuscito di sapere («diavolo! Il nome poi, com’hanno fatto?»).

L’atteggiamento dell’oste nei confronti del notaio criminale è improntato, come gli è abituale, a diplomazia; non è servile e solo per motivi di forza maggiore si presta a quel ruolo di spia. L’oste, tutto sommato, non accusa Renzo, anzi, a modo suo cerca di salvarlo, naturalmente senza compromettersi («vien uno con un pane in tasca; so assai dov’è andato a prenderlo. Perché, a parlar come in punto di morte, posso dire di non avergli visto che un pane solo»): l’oste, in definitiva, con il notaio è essenziale e collaborativo il meno possibile.

Promessi Sposi capitolo 15 Riassunto: Il mattino seguente, Renzo è svegliato dal notaio e due sbirri, che lo conducono via ammanettato

«Allo spuntar del giorno» il notaio criminale si reca da Renzo per arrestarlo, perché lo crede uno dei capi della rivolta del giorno prima, ma non glielo dice chiaramente e Renzo, inizialmente, non si raccapezza («e, tra la sorpresa, e il non esser desto bene, e la spranghetta di quel vino che sapete, rimase un momento come incantato»).
Renzo non si ricorda nulla e si stupisce moltissimo del fatto che qualcuno, un’autorità soprattutto, sappia il suo nome («Lorenzo Tramaglino! – disse Renzo Tramaglino: – cosa vuol dir questo? Cosa volete da me? Chi v’ha detto il mio nome?»).

L’atteggiamento superbo e arrogante che il notaio ha tenuto davanti all’oste, tra le mura fidate del Palazzo di Giustizia, ora, nella camera dell’osteria, a tu per tu con Renzo, con due soli sbirri, muta completamente: è tutto manieroso, perché ha paura; ha notato, infatti, che per le strade la gente si sta riscaldando; si raduna in crocchi, parla in modo concitato. Tutto lascia prevedere un’altra difficile giornata di violenza. Così, quando Renzo dice di voler essere condotto da Ferrer («giacché mi si fa quest’affronto ingiustamente, voglio esser condotto da Ferrer. Quello lo conosco, so che è un galantuomo; e m’ha fatto dell’obbligazioni»), il notaio, che «in altre circostanze, avrebbe riso, proprio di gusto, d’una richiesta simile», risponde «sì, sì, figliuolo, sarete condotto da Ferrer».
La tattica adottata dal notaio è, dunque, quella dell’inganno: egli fa leva sul senso dell’onore di Renzo e sulla vergogna di trovarsi ammanettato.

Promessi Sposi capitolo 15 Riassunto: Per la strada Renzo riesce ad attirare l’attenzione della gente e a fuggire

Occorre, ora, trasferire Renzo alla prigione con molta cautela, cercando di non far capire nulla alla gente che affolla le strade, con intenzioni non pacifiche.
Anche Renzo, però, s’accorge del ronzìo crescente nella strada e scorge la titubanza del notaio. Pertanto, alla commedia del notaio, egli non presta alcuna fede e chiede di passare dalla Piazza del Duomo, il luogo dove sa che la folla, la sera precedente, si è data appuntamento.

Dunque, Renzo comincia a divenire più scaltro: sa collegare le varie impressioni e utilizzare a suo vantaggio la paura del notaio e l’aria poco sicura che, da quanto ha capito, tira per le strade («dimodoché tutte quelle esortazioni non servirono ad altro che a confermarlo nel disegno che già aveva in testa, di far tutto il contrario»).

Il notaio più cerca di convincere Renzo a starsene quieto e passare inosservato, più lo persuade che per liberarsi deve attirare l’attenzione della gente.
Uomini accalorati, gruppi infervorati in discussioni, bisbigli, occhiate malevoli alle guardie, insulti biascicati a mezza voce al notaio fanno comprendere a Renzo che ha degli alleati: basta saperli sollecitare.
Inutilmente gli sbirri lo stringono con le manette e il notaio lo invita alla prudenza, perché Renzo grida con tutto il fiato che ha in gola: «figliuoli! Mi menano in prigione, perché ieri ho gridato: pane e giustizia. Non ho fatto nulla; son galantuomo: aiutatemi, non m’abbandonate, figliuoli»).

In pochi secondi gli sbirri, impauriti, lasciano Renzo e si disperdono; il notaio vorrebbe fare altrettanto, ma la folla minacciosa lo incalza: «Corvaccio! Corvaccio! – risonò all’intorno», allusione alla cappa nera che indossa.

Il notaio potrebbe benissimo far coppia col vicario di provvisione, perché entrambi sono funzionari mediocri e paurosi. Non è poi molto dissimile da Ferrer: come questi è incapace di fronteggiare le situazioni con intelligenza e dignità. Infine, il notaio durante il colloquio con l’oste, si mostra arrogante e superbo, per poi divenire sorridente e mellifluo quando teme per la sua incolumità: in ciò assomiglia a Pedro, il cocchiere di Ferrer.

Questo articolo è tratto dall’ebook “Guida ai Promessi Sposi” in vendita su
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