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Riassunto capitolo 20 Promessi Sposi

Riassunto capitolo 20 Promessi Sposi.

Riassunto capitolo 20 Promessi Sposi: descrizione del luogo dove sorge il castello dell’Innominato

È il primo grande capitolo dedicato all’Innominato. Nel capitolo 18 c’era stato un lontano accenno: «… un tale, le cui mani arrivavano spesso dove non arrivava la vista degli altri: un uomo o un diavolo, per cui le difficoltà dell’impresa era spesso uno stimolo a prenderle sopra di sé». Nel capitolo 19 si era avuta la presentazione del «terribile uomo», insistente sulla sua condizione di sprezzante estraneità alle leggi e alle magistrature, e di innata e ricercata e riconosciuta superiorità.

Ed ecco finalmente, in un clima di attesa, la presentazione diretta, l’ingresso in scena del personaggio. Il capitolo 20 dei Promessi Sposi, però, non si apre immediatamente sulla figura di un uomo. A questa figura si perviene a poco a poco, attraverso la descrizione di un paesaggio e di una dimora, di un ambiente naturale e di un ambiente umano.

Il paesaggio è fin dall’inizio improntato ad una dimensione, quella dell’altezza, e ad una caratteristica, quella dell’asprezza. Il castello dell’Innominato sta, infatti, «sulla cima d’un poggio che sporge in fuori da un’aspra giogaia di monti». All’ambiente umano, invece, si accompagna l’impressione della solitudine: «dall’alto del castellaccio, come l’aquila dal suo nido insanguinato, il selvaggio signore dominava all’intorno tutto lo spazio dove piede umano potesse posarsi, e non vedeva mai nessuno al di sopra di sé, né più in alto»; e poco oltre: «del resto, non che lassù, ma neppure nella valle, e neppur di passaggio, non ardiva metter piede nessuno che non fosse ben visto dal padrone del castello».

Dall’ambiente-paesaggio, osservato in rapporto alla natura e in rapporto all’uomo, si passa all’ambiente-società, anche questo distinto (attraverso l’arrivo di don Rodrigo «appiè del poggio» e la salita per «l’erto e tortuoso sentiero») in due tempi, quello della taverna e quello del castello.

Intorno alla taverna si raccoglie un movimento di persone: gli uomini dell’Innominato (un «ragazzaccio», un «caporalaccio», un «bravaccio») e i bravi di don Rodrigo, con i loro nomi non casuali, recuperati da Manzoni dalle gride (Tanabuso, Squinternotto) o ricavati dal dialetto (Griso=grigio) o dal luogo di provenienza (Montanarolo).

La taverna ha per insegna un sole raggiante, eppure viene chiamata Malanotte, un nome lugubre e notturno, ben adatto all’ambiente sinistro sin qua descritto. Più che ad una taverna, assomiglia ad un avamposto per le sentinelle, qui sostituite da bravi a servizio dell’Innominato, verso i quali don Rodrigo si mostra cortese, perché conscio della sua inferiorità nei confronti del loro padrone (si ricorderà che durante la passeggiata raccontata nel capitolo 7 egli «non rispondeva» al saluto dei contadini e «corrispondeva con una degnazione contegnosa» a quello dei signori inferiori a lui).

Don Rodrigo lascia il cavallo, le armi (perché sa che l’Innominato non vuole estranei armati al suo castello), si priva di «alcune berlinghe» e di «alcuni scudi d’oro» per darli ai bravi e prosegue a piedi, accompagnato dal Griso e da «un altro bravaccio dell’Innominato» .

Ricompare il castello, questa volta visto all’interno, attraverso i pochi tratti che accennano all’«andirivieni di corridoi bui» e alle «varie sale tappezzate di moschetti, di sciabole e di partigiane», con qualche bravo in ognuna di esse.

Riassunto capitolo 20 Promessi Sposi: la descrizione dell’Innominato

Si arriva in tal modo alla presenza dell’Innominato. Più volte presentato in precedenza, ora è descritto brevemente. È subito messo in evidenza il suo essere sempre sospettoso nei confronti di chiunque, attraverso il suo rapido esame delle mani e del viso «ormai quasi involontariamente, a chiunque venisse da lui».

La descrizione fisica si esaurisce in pochi tratti: alto, bruno, radi capelli bianchi, faccia rugosa. Il suo aspetto denuncia un’età superiore ai sessanta, eppure l’energia che si sprigiona dal suo portamento e comportamento, «il lampeggiare sinistro, ma vivo degli occhi» lo portano a sembrare più giovane.

L’impressione generata dalla descrizione fisica è cupa ed inquietante, come quella suscitata dall’ambiente in cui vive. L’età, i pochi capelli e soprattutto il «lampeggiare» degli occhi ricordano anche la presentazione della monaca di Monza, nel capitolo 9. Altri aspetti, invece, lo avvicinano a don Rodrigo: l’essere un tiranno e l’avere un «demonio nascosto» nel cuore (un diavolo «stava di casa» nel signorotto, capitolo 17).

L’Innominato è dunque un personaggio complesso e si presenta come una sintesi di altri.

Riassunto capitolo 20 Promessi Sposi: Don Rodrigo chiede aiuto all’Innominato per rapire Lucia. L’Innominato ne assume prontamente l’incarico

Don Rodrigo, ammesso alla presenza dell’Innominato, gli chiede aiuto per rapire Lucia. Quello se ne assume prontamente l’incarico, facendo conto su Egidio, uno dei suoi più stretti collaboratori, che, come ben sappiamo, tiene in pugno la monaca di Monza.

La promessa dell’Innominato a don Rodrigo viene presentata come l’obbedienza all’imposizione di un demonio («come se un demonio nascosto nel suo cuore gliel’avesse comandato»).
L’Innominato si pente subito dell’assenso dato prontamente a don Rodrigo e, così, per superare ogni esitazione chiama il capo dei suoi bravi, il Nibbio, e gli ordina di contattare Egidio a Monza. Egidio gli risponde che l’impresa è «facile e sicura»: gli basta una carrozza e qualche bravo travestito per organizzare un rapimento di successo.

Riassunto capitolo 20 Promessi Sposi: l’inizio della crisi interiore dell’Innominato

Si comincia ora a delineare un ritratto interiore dell’Innominato. I delitti da lui compiuti insinuano nel suo animo un disagio interiore, che si fa strada, cresce, si dilata, si ingigantisce, sino quasi a soffocarlo.

Manzoni nel descrivere la crisi al suo inizio, usa termini via via sempre più intensi e significativi: dal «rimorso» e dall’«uggia» passa alla «ripugnanza» per i delitti commessi, sino alla «costernazione» di fronte al pensiero della propria morte. Di qui il senso confuso, inevitabile e oscuro di un giudizio («… ora, gli rinasceva ogni tanto nell’animo l’idea confusa, ma terribile, d’un giudizio individuale, d’una ragione indipendente dall’esempio»).

Su tutto impera il vuoto e il nulla che lo circonda e ciò lo sgomenta. Avverte, però, all’improvviso una presenza misteriosa ed inquietante, preoccupante e sollecitante: «quel Dio di cui aveva sentito parlare, ma che, da gran tempo, non si curava di negare né di riconoscere, occupato a vivere come se non ci fosse, ora, in certi momenti d’abbattimento senza motivo, di terrore senza pericolo, gli pareva sentirlo gridar dentro di sé: Io sono però». E’ Dio, che si affaccia nell’esistenza dell’Innominato. Questi non lo riconosce ancora, ma non è più in uno stato d’indifferenza nei suoi confronti.

Riassunto capitolo 20 Promessi Sposi: Lucia è rapita dai bravi dell’Innominato. Il terrore di Lucia durante tutto il viaggio.

Torniamo, nel frattempo al convento di Monza. Gertrude trova in Lucia sollievo ai suoi rimorsi. Perderla significherebbe aggiungere una nuova angoscia ai suoi sensi di colpa; potrebbe opporsi alla richiesta di Egidio e iniziare una vita retta, invece ubbidisce. In un colloquio in parlatorio con Lucia, Gertrude, oscillando tra affetto e ipocrisia, le affida una commissione per i Cappuccini. Lucia cerca, scusandosi, di convincere la monaca a non affidarle l’incarico. Ma la signora reagisce mostrandosi vivamente dispiaciuta dell’ingratitudine della ragazza, al punto che la fanciulla rinuncia a opporsi.

Gertrude la guarda allontanarsi e solo per un attimo il rimorso l’afferra e la fa quasi urlare «sentite, Lucia!», ma subito si ricompone: il potere che Egidio esercita su di lei è troppo forte e ormai si è compromessa troppo a fondo.

È questa l’ultima immagine della monaca di Monza che Manzoni ci offre nel romanzo.

Lucia s’incammina verso il convento dei Cappuccini, per una strada costeggiata da alti cespugli che la ricoprono. Intravvede una carrozza ferma: sono i bravi dell’Innominato, guidati dal Nibbio, che fingono di avere incertezze sul percorso. Al sopraggiungere di Lucia le si avvicinano per chiedere informazioni. Lucia accenna la risposta, ma non termina la frase perché i bravi e il Nibbio, aiutati da “uno sgherro d’Egidio”, la rapiscono e la forzano a salire in carrozza.

Lucia è spaventata, i bravi cercano, nella loro maniera, di rincuorarla, ma ella sviene. Rinvenuta, alterna alle lacrime preghiere, urla, domande, suppliche: è alla mercé di ignoti, ignara anche del motivo che li induce a farle del male.

La giovane, smarrita e sofferente, richiama i bravi alla morte, certa per tutti, e al giudizio di un Dio misericordioso; poi, nella sua inconfondibile spiritualità, si raccoglie in un sublime isolamento («si strinse il più che poté, nel canto della carrozza…») e si rivolge «a Colui che tiene in mano il cuore degli uomini, e può, quandovoglia, intenerire i più duri».

Intanto, chiuso nel suo «castellaccio», l’Innominato attende con ansia l’arrivo della carrozza. Questa attesa richiama quella di don Rodrigo nel capitolo XI.

Questo stato d’animo è del tutto nuovo in lui: è il primo segnale della crisi imminente. Tuttavia, il suo animo ancora si dibatte in una serie di desideri contraddittori: vorrebbe vedere la ragazza, ma ne ha quasi timore, quasi per un presagio del passo decisivo verso la salvezza. Quel «no imperioso» che oppone alla decisione di mandare la fanciulla subito a don Rodrigo è solo il primo di una serie che lo condurranno al sì della salvezza, alla conversione a una vita santa e giusta, condotta nell’osservanza alla legge di Dio.

Riassunto capitolo 20 Promessi Sposi: descrizione della vecchia serva dell’Innominato e confronto con il vecchio servitore in casa di don Rodrigo

L’Innominato chiama una vecchia serva, nata e vissuta nel castello. La sua immagine ricorda quella del vecchio servitore incontrato da fra Cristoforo in casa di don Rodrigo nel capitolo 6, ma i volti morali di questi due personaggi sono del tutto opposti: lei è completamente assoggettata al sistema che vige nel castello; l’altro, invece, non approva l’andazzo della casa e la condotta del padrone e subisce i delinquenti con cui deve mescolarsi, mentre la vecchia si sente onorata e lusingata di servire un tale padrone, per il quale prova «sentimenti d’un rispetto, d’un terrore, d’una cupidigia servile».

La vecchia, da giovane, aveva sposato un servo della casa, morto poco dopo in una spedizione comandata dall’Innominato. Questi ne aveva vendicato subito la morte e tale gesto le aveva procurato «una consolazione feroce» e ora trovarsi sotto tale protezione la rende orgogliosa.
Pigra e stizzosa, la vecchia serva vive in quel castello isolata, per sua scelta, dal resto del mondo: gli unici contatti umani sono con «quella masnada di sgherri» per i quali «vecchia, era il suo appellativo usuale». Da essi riceve comandi, rimproveri e ringraziamenti sempre e solo «conditi di beffe e d’improperi», ma il suo turpiloquio è peggiore di quello dei bravi («contraccambiava alle volte que’ complimenti con parole, in cui satana avrebbe riconosciuto più del suo ingegno, che in quelle de’ provocatori»).

La vita l’ha imbruttita, degradata e imbarbarita, ma è la donna che ha lasciato che ciò accadesse. Non ci deve dunque meravigliare la sua interrogazione stupita al comando dell’Innominato di fare coraggio a Lucia («cosa le devo dire?»), perché la sua abitudine al male ha soffocato ogni senso di pietà, compassione e solidarietà.

Queste osservazioni non valgono nei riguardi del servitore di don Rodrigo, il quale, convinto che si stia architettando qualcosa di losco ai danni della povera Lucia, promette a fra Cristoforo che starà all’erta e lo informerà non appena possibile: il vecchio è «un filo» che la Provvidenza mette nelle mani del frate Cappuccino; è uno strumento nelle mani di Dio. Niente di simile potremo mai dire o pensare riguardo la vecchia.

Riassunto capitolo 20 Promessi Sposi: l’Innominato invia la vecchia serva incontro a Lucia

L’Innominato manda la vecchia incontro a Lucia, poi alza gli occhi al cielo: il sole sta tramontando e le nuvole dapprima «brune» (segno della sua oppressione e della sua tremenda solitudine) si fanno «di fuoco», perché quel cielo, incombente sopra di lui, è popolato da quel Dio misterioso che egli teme e di cui dubita al tempo stesso.

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