24 maggio 1915 l’Italia entra ufficialmente nella Prima guerra mondiale, a fianco della Triplice Intesa (Gran Bretagna, Francia e Russia), circa dieci mesi dopo l’inizio vero e proprio del conflitto (28 luglio 1914).
Perché l’Italia entra in guerra nel 1915 e non nel 1914?
Al momento dello scoppio della Prima guerra mondiale (28 luglio 1914), l’Italia, legata ad Austria-Ungheria e Germania dalla Triplice Alleanza, si era dichiarata neutrale: era stata l’Austria-Ungheria a dichiarare guerra al Regno di Serbia (in seguito all’attentato di Sarajevo), non il contrario; e poiché la Triplice Alleanza era un patto solo difensivo, il governo italiano poté rivendicare la propria neutralità, almeno per il momento, suscitando lo sdegno e la rabbia degli austriaci e dei tedeschi, che si sentirono traditi.
In realtà, dietro a tale decisione si celava un altro e ben più importante motivo: il Presidente del Consiglio dei Ministri Antonio Salandra intendeva prendere tempo per decidere quale tra i due schieramenti avrebbe servito meglio le ambizioni territoriali del nostro Paese. Egli infatti non solo mirava a ottenere Trentino, Friuli orientale, Trieste, Istria e Dalmazia, terre abitate in maggioranza da italiani e ancora sotto sovranità austriaca, ma voleva anche raggiungere un ruolo di primo piano sul mar Mediterraneo. Decise dunque di consultarsi sia con gli austriaci sia con i Paesi dell’Intesa, in modo da poter valutare da dove provenissero le offerte più vantaggiose.
L’Italia è divisa tra interventisti e neutralisti
Intanto, nel Paese l’opinione pubblica si divise tra interventisti, che chiedevano l’entrata in guerra, e neutralisti, cioè coloro che volevano la neutralità. Tra gli interventisti c’era il giovane Benito Mussolini che, entrato nel Partito socialista e diventato direttore del quotidiano l’Avanti, condusse dapprima una battaglia a favore del neutralismo per poi modificare radicalmente la sua posizione e diventare un sostenitore dell’interventismo. Per questo motivo fu espulso dal Partio socialista e fondò un nuovo giornale intitolato Il Popolo d’Italia dal quale continuò la sua battaglia a favore dell’entrata in guerra del Paese.
Intanto il conflitto si allarga ad altri Paesi…
Mentre in Italia si discuteva, il conflitto si estendeva ad altri Paesi. In agosto la Serbia veniva attaccata dall’Austria, al fianco della quale si pose anche la Turchia, nemica di Serbia e Russia per i precedenti contrasti nei Balcani. Anche il Giappone entrò nel conflitto a fianco della Triplice Intesa; il suo scopo era allargare la propria influenza nell’area dell’Oceano Pacifico.
Nel giro di poche settimane, la maggior parte dei Paesi europei si ritrovò così invischiata in un conflitto che si sperava potesse concludersi rapidamente, per giungere poi a un accordo diplomatico, così com’era accaduto in precedenti occasioni, invece la Prima guerra mondiale durò quattro, lunghissimi anni.
Il Patto di Londra
Il 26 aprile 1915 il ministro degli Esteri italiano Sidney Sonnino sottoscrisse il Patto di Londra, un trattato assolutamente segreto, ma approvato dal re Vittorio Emanuele III, con il quale l’Italia s’impegnava a scendere in campo, entro un mese, contro l’Austria-Ungheria al fianco della Triplice Intesa (Gran Bretagna, Francia e Russia). In caso di vittoria finale l’Italia avrebbe ottenuto l’annessione del Trentino, Alto Adige, Istria, Dalmazia e Trieste.
24 maggio 1915: l’Italia nella Prima guerra mondiale
Così il 24 maggio 1915 l’Italia entrò ufficialmente in guerra, a fianco dell’Intesa. Si arruolarono molti volontari, ma la maggior parte dei soldati fu chiamata al fronte con la leva obbligatoria.
Il fronte italo-austriaco
L’esercito italiano, del tutto impreparato e male armato, comandato dal generale Luigi Cadorna, passò subito all’offensiva lanciando ripetuti attacchi all’Austria nell’area del Carso, un altopiano roccioso non lontano da Trieste. Gli austriaci occupanti però resistettero strenuamente e poi lanciarono nel maggio 1916, una pesante controffensiva in Trentino: si trattava di una vera e propria «spedizione punitiva» (Straf-expedition) nei confronti degli italiani «traditori».
Le truppe italiane furono prima costrette a indietreggiare, poi riuscirono faticosamente a costruire una linea di difesa nel Veneto, sull’altopiano di Asiago. Intanto, nell’agosto 1916, la punta avanzata del fronte riportò un’importante vittoria, con la presa di Gorizia. A quel punto il fronte italo-austriaco si stabilizzò. Si calcola che nei soli primi 12 mesi di combattimenti, l’esercito italiano perse 250 000 uomini, tra morti, feriti, prigionieri, dispersi.
La tragedia di Caporetto e la reazione dell’Italia
Per l’esercito italiano l’episodio più grave si verificò il 24 ottobre 1917: gli austriaci, rafforzati da truppe tedesche, sfondarono all’improvviso il centro dello schieramento italiano a Caporetto (oggi Kobarid, in Slovenia), tentando poi l’accerchiamento. L’esercito italiano riuscì a sottrarsi a quella manovra, ma nella ritirata si persero 400 000 uomini, tra morti, feriti e dispersi, e gran parte dell’artiglieria.
L’intero Friuli cadde in mani nemiche, mentre molti reparti privi di ordine si arrendevano al nemico. L’esercito austro-ungarico avanzò in profondità nella pianura veneta e parve sul punto di dilagare nella Pianura Padana, fino a Milano.
Proprio nel momento più difficile, però, l’Italia seppe trovare unità e coesione: a Roma si costituì un governo di unità nazionale (Governo che si forma con il concorso di tutte le forze politiche, anche quelle di opposizione), presieduto da Vittorio Emanuele Orlando: la parola d’ordine divenne «Resistere!».
Il 9 novembre 1917 il comandante in capo Luigi Cadorna, rigido nella strategia bellica e distaccato dalle truppe (mandava gli uomini all’assalto di posizioni inespugnabili e puniva duramente coloro che si rifiutavano, facendoli condannare a morte per “codardia”), fu sostituito dal generale Armando Diaz. Quest’ultimo, più abile e pragmatico, riuscì a costituire una nuova linea di resistenza tra il fiume Piave e l’altopiano di Asiago: su questa linea si attestò l’esercito italiano.
Nelle ultime settimane del 1917 si succedettero varie offensive austriache, a cui gli italiani resistettero a fatica; furono perciò chiamati alle armi i «ragazzi del ’99», cioè diciottenni nati nel 1899, ma il fronte del Piave tenne.
La battaglia di Vittorio-Veneto e la vittoria dell’Italia nella Prima guerra mondiale
Il fronte italo-austriaco rimase stabile per un anno, prima che Diaz comandasse l’ultima, potente controffensiva: dopo aver superato il fiume Piave, sfondando le linee austriache, l’esercito italiano avanzò nella pianura veneta, fino a sbaragliare il nemico a Vittorio-Veneto (24-30 ottobre 1918).
Il 3 novembre il tricolore entrò trionfalmente a Trento e a Trieste; il giorno successivo il 4 novembre 1918 a Villa Giusti, presso Padova, venne firmato l’armistizio che sancì la vittoria italiana contro l’Austria.
L’Italia ottenne dall’Austria il Trentino, la Venezia Giulia, l’Istria e Trieste. Il Primo ministro Orlando e il ministro degli Esteri Sonnino chiesero anche i territori promessi nel Patto di Londra in Albania e in Dalmazia e, in aggiunta, chiesero l’annessione di Fiume, ma le altre potenze si opposero alla richiesta.
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