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Scuola Poetica Siciliana, riassunto

La Scuola Poetica Siciliana sorse intorno al 1230 in Sicilia presso la corte di Federico II di Svevia.

Gli interpreti della Scuola Poetica Siciliana furono attivi nel periodo fra il 1230 e il 1266, quando con la Battaglia di Benevento venne sconfitto il figlio e successore di Federico, Manfredi, e il sogno ghibellino della dinastia sveva subì una crisi rapida e definitiva.

I poeti della Scuola Poetica Siciliana s’ispirarono ai modelli già elaborati dai trovatori provenzali, ma nel contempo si distinsero da essi in alcuni importanti aspetti.

Innanzitutto tra i trovatori provenzali e i poeti siciliani c’è una profonda differenza sul piano della posizione sociale: i trovatori provenzali erano cantori professionisti, che passavano di corte in corte e spesso scadevano al livello dei giullari; i poeti siciliani erano funzionari e burocrati di grado elevato che si dedicavano alla poesia solo per diletto e, a differenza di quello provenzale, non era anche musicista. Il poeta siciliano non componeva melodie e le sue poesie non erano accompagnate dalla musica né destinate alla recitazione o al canto, bensì solo alla lettura.

Le differenze politiche e sociali determinano anche alcune differenze tematiche. Resta indubbiamente il motivo del vassallaggio d’amore preso in prestito dalla società feudale, con le offerte, da parte del soggetto poetico, del “servizio” d’amore nella speranza di avere in cambio dalla donna una ricompensa. Ma la realtà in cui vivono i poeti siciliani è cortigiana, non feudale. Ciò spiega perché spesso l’accento cada, più che sul rapporto d’amore fra vassallo e dama, sull’amore in quanto tale e sugli effetti di esso.

Le strutture metriche utilizzate dalla Scuola Poetica siciliana sono la canzone, la canzonetta e il sonetto, che è una vera e propria invenzione siciliana.

La canzone, composta di endecasillabi alternati a settenari, costituisce l’espressione “alta” della poesia siciliana e utilizzata soprattutto per composizioni di carattere teorico e dottrinale (per un approfondimento leggi Canzone e canzonetta: struttura e metrica).

La canzonetta ha una struttura narrativa e dialogica e dunque si presta ad argomenti meno nobili ed elevati. Anche i versi sono più brevi e vivaci (settenari, doppi settenari, ma anche ottonari o novenari). Ha un andamento ritmico più semplice e spontaneo. Ne è un esempio Meravigliosamente di Giacomo da Lentini; anche il contrasto di Cielo d’Alcamo Rosa fresca aulentissima presenta alcuni aspetti tipici della canzonetta (per un approfondimento leggi Canzone e canzonetta: struttura  e metrica).

Quanto al sonetto, esso è stato usato per la prima volta dal caposcuola dei Siciliani, Giacomo da Lentini. I quattordici versi che lo compongono sono sempre endecasillabi. Il sonetto tratta argomenti diversi, prevalentemente, presso i Siciliani, discorsivi, teorici, filosofici e morali, ma anche amorosi e scherzosi. È un componimento di minor impegno rispetto alla canzone (per un approfondimento leggi Cos’è il sonetto: struttura e storia).

Quanto al linguaggio, la Scuola Poetica Siciliana sceglie il volgare come base della poesia sebbene il volgare siciliano sia depurato attraverso il filtro della conoscenza del latino, del provenzale, degli altri volgari italiani. Si tratta dunque di un volgare illustre e interregionale.

Purtroppo possiamo ricostruire la lingua poetica dei Siciliani soltanto per approssimazione. Infatti rimangono solo due componimenti nell’originale volgare siciliano, salvati dal lavoro di un filologo del Cinquecento, Giovanni Maria Barbieri (che poteva disporre di un codice originario siciliano oggi perduto): Pir meu cori alligrari di Stefano Protonotaro da Messina e S’iu truvassi Pietati di re Enzo, figlio di Federico II di Svevia. Tutte le altre poesie erano state ricopiate in  Toscana da copisti che ne avevano alterato la lingua, volgendola dal siciliano al toscano.

I maggiori esponenti della Scuola Siciliana furono tutte personalità con incarichi politici: il segretario Pier delle Vigne; il notario Giacomo da Lentini (conosciuto anche come Iacopo da Lentini, considerato il caposcuola e a lui viene attribuito l’invenzione metrica del sonetto); il giudice Guido delle Colonne; e ancora: Stefano Protonotaro, Cielo d’Alcamo, lo stesso Federico II di Svevia e suo figlio, re Enzo.

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