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Donne e violenza nel Medioevo

Donne e violenza nel Medioevo: il legame tra carne e peccato

Il trionfo dell’ideale monastico nell’Alto Medioevo instaura un legame tra carne e peccato, contrapponendo il corpo all’anima e predicandone la mortificazione.

A farne le spese è soprattutto la donna. Infatti il Cristianesimo riprende e rinforza, in una prospettiva teologica, la tradizione misogina già viva nella cultura giudaica e greco-romana. Il peccato originale, che è di per sé un peccato di orgoglio intellettuale, viene trasformato nel Medioevo in peccato sessuale e la donna e il corpo, da Eva alle streghe, diventano luoghi diabolici.
L’unica donna estranea al peccato è Maria, madre e vergine, esaltata proprio sulla base della negazione del corpo e delle sue funzioni.

Donne e violenza nel Medioevo: amore e matrimonio

La castità maschile e femminile è la condizione ideale della vita cristiana e porta a considerare con sospetto il matrimonio stesso. Nello stato coniugale è comunque difficile piacere a Dio. La stessa iconografia del matrimonio può essere impiegata indifferentemente in una scena di tentazione diabolica. Nella scala delle virtù, un tema frequente nella rappresentazione religiosa, la prima a cadere è la coppia sposata; le gole dell’inferno rigurgitano di donne; la donna compare spesso nei miracoli dei santi come indemoniata. Quando nel XIV secolo viene rappresentata per la prima volta, la morte prende l’aspetto di una vecchia artigliata con ali di pipistrello.

Nel XII secolo il matrimonio viene rivalutato e trasformato in sacramento.
La Chiesa cerca di umanizzare i rapporti familiari sforzandosi di fare accettare il principio del libero consenso. Ciò non toglie che la cultura clericale, in linea con i padri della Chiesa, continui a considerare l’amore una passione negativa, che allontana l’uomo dalla ragione e dalla virtù, una specie di malattia dei sensi, che fatalmente perturba anche l’anima. In tal modo i pensatori medievali radicano nella cultura occidentale l’idea del femminile che si contrappone al maschile come la natura alla cultura.

 

Donne e violenza nel Medioevo: il dominio maschile

La donna non ha nel Medioevo una fisionomia propria e riesce a liberarsi dal dominio maschile solo attraverso la castità, chiudendosi nel chiostro.

Fin dal suo ingresso nel mondo, la donna medievale partiva svantaggiata. La nascita di una bambina era vista come una disgrazia, e provocava nei padri l’angoscia per la dote, che le avrebbero dovuto fornire. Accolta male, nutrita male e vestita peggio dei suoi fratelli, la sua vita era vista come votata a due sole attività: le cure casalinghe e la procreazione.

 

“Violenza alle donne. Una prospettiva medievale”: il libro presentato all’Università di Siena

Le donne venivano «percosse in nome del diritto del marito a “correggere” la moglie, del padre a costringere e punire la figlia, del padrone a battere la serva; ingiurie connesse al comportamento femminile; stupri, segregazioni, omicidi in nome dell’onore tradito», così si legge nel volume “Violenza alle donne. Una prospettiva medievale”, curato da Anna Esposito, Franco Franceschi e Gabriella Piccinni.

Ne hanno parlato Giulia Calvi, dell’Università di Siena, e Andrea Zorzi, dell’Università di Firenze in un interessante convegno tenutosi lo scorso 11 maggio dall’Università di Sienanel cortile del palazzo di San Galgano a Siena.

Il volume racconta come si vennero codificando i comportamenti violenti contro le donne, senza peraltro tralasciare i casi di violenza di donne contro altre donne o la loro risposta violenta nei confronti di chi le minacciava e aggrediva. L’appuntamento, organizzato dal dipartimento di Scienze storiche e dei beni culturali dell’Ateneo senese insieme al Centro culturale delle donne Mara Meoni e all’associazione Non una di meno, si è concluso con letture di ieri e di oggi, con la collaborazione di Persone Libro Siena – Associazione donne di carta.

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