La questione del velo islamico nel mondo musulmano e occidentale.

In molta parte del mondo antico il velo fu utilizzato come importante elemento di distinzione tra le donne «perbene» e le altre. La testa scoperta, con i capelli esposti alla vista, era infatti generalmente interpretata come un segnale di disponibilità sessuale. Per questo motivo il velo servì a indicare soprattutto lo status sociale specifico delle donne sposate.

In Grecia, in Persia, a Roma, a Cartagine il capo velato era simbolo di pudore, verginità, decoro e rispetto sia in ambito privato e sociale sia in quello religioso. Nella Roma antica anche gli uomini pregavano con la testa velata davanti agli dèi. Questa tradizione sembrò invece assolutamente sconveniente ai primi cristiani.

A uno degli spiriti più intransigenti e moralisti della storia della Chiesa, Quinto Settimio Tertulliano, si deve nel 213 la composizione di una piccola opera dal titolo De virginibus velandis. In essa l’autore ammoniva severamente le donne (da lui considerate esseri inferiori e «porte del diavolo») a velarsi il capo per nascondere i capelli. Tertulliano, inoltre, specificava che non si doveva eccedere nell’uso del velo come «le donne pagane d’Arabia che coprono non solo il capo ma addirittura tutta la faccia», testimoniando così l’antichità dell’usanza vicino-orientale di coprirsi integralmente con un velo.

Quando l’islam iniziò a diffondersi nelle regioni d’Arabia, l’antica tradizione del velo tipica di quelle popolazioni venne accolta e ricevette la sua definitiva consacrazione religiosa.

Il velo accentuò così il suo significato simbolico e servì a definire e a distinguere meglio le donne islamiche, credenti e fedeli alla Umma (la «Comunità dei musulmani»), dalle altre.

Nel Corano (sura XXXIII, versetto 59) Dio, rivolgendosi a Maometto, dice infatti: «O Profeta! Di’ alle tue spose, alle tue figlie e alle donne dei credenti di coprirsi dei loro veli; questo sarà più atto a distinguerle dalle altre, così da non essere molestate».

La rispettabilità delle donne musulmane quindi fu associata al tipo di abbigliamento da indossare, che doveva rispondere a princìpi di dignità, decoro e pudore. Per questo nel Corano (sura XXIV, versetto 31) si dice di non mostrare troppo «le parti belle» e di coprire il petto con un velo, pur non obbligando a indossare lo hijab, il velo delle donne musulmane che copre testa e collo.

La questione del velo islamico

La questione del velo islamico è delicata e complessa, oltre che di estrema attualità. Essa è al centro dei dibattiti interni al mondo musulmano, quanto mai variegato e sfaccettato. Rappresenta anche un argomento di estremo interesse per il mondo occidentale, che spesso interpreta il velo come un atto di sottomissione della donna islamica davanti a una imposizione maschile.

La questione del velo islamico nacque nel 1899 con la pubblicazione del libro La liberazione delle donne, del giurista egiziano Qasim Amin. Egli incitò le donne musulmane a togliere il velo, sostenendo che la legge islamica (la sharia) non imponeva in alcun modo l’uso del hijab; a farlo era invece la società maschile, colpevole anche delle forme di segregazione domestica femminile.

Queste provocatorie dichiarazioni contribuirono alla nascita di un movimento femminista arabo che ancora oggi continua a battersi per l’autonomia della donna islamica; per la sua libertà di scelta nell’osservanza delle leggi di Dio: dal velo, all’istruzione, dal lavoro alla famiglia.

In Turchia, Indonesia e Marocco la donna islamica ha conquistato libertà e privilegi che fino a non molto tempo fa erano di esclusivo dominio maschile. Nella Tunisia vige addirittura il divieto di indossare il velo integrale (che copre tutta la persona) perché contrasterebbe con la laicità dello Stato. In Francia il velo integrale è vietato per legge nei luoghi pubblici come qualsiasi altro segno che rimandi a un’appartenenza religiosa.

Nei paesi più tradizionalisti e fondamentalisti, invece, il velo è obbligatorio. Va dal semplice hijab, che copre capelli e collo; al chador che copre testa e petto; al niqab che copre anche il volto, lasciando liberi soltanto gli occhi; fino ad arrivare a un vero occultamento della persona con il burqa, il velo integrale imposto in Afghanistan.

In questi Stati dove il velo è obbligatorio, le condizioni di vita delle donne sono spesso drammatiche e la discriminazione tra i due sessi raggiunge livelli inconcepibili per l’Occidente.

Per molte donne musulmane immigrate in Occidente indossare il velo è una libera scelta che testimonia l’appartenenza all’islam. Per molte altre donne immigrate in Occidente, invece, l’uso del velo è una scelta obbligata per non subire soprusi, mortificazioni, punizioni corporali e psicologiche da parte di padri, fratelli, zii e cugini angosciati dall’eventuale occidentalizzazione delle «proprie» donne o dalla loro più semplice e legittima esigenza di indipendenza, che non presuppone un allontanamento dalla fede in Dio.

È proprio questo stato di cose che rende la questione del velo islamico un argomento dibattuto, perché se per molte donne islamiche indossarlo è un atto di libera scelta, per altre è la manifestazione più evidente di uno stato complessivo di sottomissione.

 

 

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