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Placito capuano-Primo documento di volgare italiano

Placito capuano è il primo testo scritto pervenuto che documenti l’esistenza dei volgari o dialetti italiani. Il Placito capuano risale a più di mille anni fa, esattamente al 960 d. C.

Prima del 960 si ha un esempio di forma intermedia fra il latino e il volgare nell’Indovinello veronese risalente alla fine del secolo VIII o all’inizio del IX e inserito da un copista veronese in un codice liturgico della Biblioteca capitolare di Verona.

La piena coscienza della distinzione fra volgare e latino e l’uso consapevole del primo in un documento scritto si hanno nel Placito capuano del 960, primo di quattro Placiti (detti anche Placiti cassinesi) del 960-963: si tratta di quattro sentenze giudiziarie volute dal giudice di Capua, Arechisi, in volgare perché i contenuti del discorso fossero chiari anche ai presenti ignari del latino.

L’autore di questo testo notarile, il Placito capuano, è dunque Arechisi, il giudice della città di Capua, che è stato chiamato a risolvere una contesa fra i monaci di un monastero dipendente dall’Abbazia di Montecassino e un privato di nome Rodelgrimo, il quale pretende che gli venga riconosciuta la  proprietà di alcune terre rivendicate invece dai monaci, in base a un possesso trentennale continuativo. Nel documento, a favore dei monaci, è trascritta la testimonianza di un chierico e di alcuni abitanti del luogo.

Trattandosi di un documento ufficiale, il testo è scritto quasi interamente in latino, con abbondanza di formule giuridiche rituali. Ma nel momento in cui il giudice ascolta la testimonianza a favore dei monaci benedettini, ne trascrive integralmente il contenuto servendosi del volgare campano, cioè della lingua usata dai testimoni stessi.
Nella trascrizione il giudice ne perfeziona la forma ortografica, fornendoci così un importantissimo esempio – il primo – di uso ufficiale del volgare illustre. Si tratta quindi di un uso intenzionale e consapevole del volgare in contrapposizione all’ufficialità del latino. Per tali ragioni il Placito capuano è considerato il primo vero testo in volgare italiano.

Vi proponiamo la parte più significativa del Placito capuano, tradotto dal latino in cui è scritto. In corsivo, invece, potete leggere la formula di giuramento dei testimoni in volgare.

Facemmo restare innanzi a noi il predetto Mari chierico e monaco e lo amonimmo che sotto il timor di Dio ci precisasse quel che della questione sapesse in verità. Egli, tenendo in mano la predetta memoria prodotta dal sopra menzionato Rodelgrimo, e toccandola con l’altra mano, rese la seguente testimonianza:
Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte Sancti Benedicti.

Nella lingua italiana di oggi:
So che quelle terre, entro quei confini che qui sono contenuti [nella carta] per trenta anni le ha avuto in possesso la parte [cioè il monastero] di San Benedetto.

La medesima formula è ripetuta più volte nel Placito capuano, in modo sempre uguale e completo, ogni volta che viene pronunciata da un testimone diverso.

Il giudice Arechisi, in forza di tali testimonianze e in assenza di un documento o di altra testimonianza della controparte, risolve il contenzioso attribuendo le terre in questione alla proprietà dell’Abbazia di Montecassino.

Il giudice Arechisi applica così una legge emanata nel 754 dal re dei Longobardi Astolfo, che fa proprio il principio della prescrizione trentennale, già presente nel diritto romano: « Se alcun longobardo possieda qualche bene, e il responsabile di un’amministrazione religiosa glielo contesti, ed egli  documenti di possederlo da trent’anni, e il suo possesso sia acclarato, continui a possederlo anche in seguito. Similmente facciano le amministrazioni religiose dei beni che esse possiedono, se dai Longobardi ne sia mossa la contestazione».

Il Placito Capuano è oggi conservato presso la biblioteca dell’Abbazia di Montecassino (FR).

Nota: altri documenti di volgare italiano pervenuti risalgono a più di un secolo dopo. In Toscana si trovano la Postilla amiatina, risalente al 1087 ca., su un documento notarile per una donazione di beni all’Abbazia di San Salvatore sul monte Amiata; la testimonianza di Travale in Maremma e un conto di spese a Pisa per l’apprestamento di una nave. In Sardegna si trova il Privilegio logudorese, a favore di alcuni mercanti pisani, del 1080-1085. A Roma L’iscrizione di San Clemente, un’iscrizione su un affresco nella Chiesa di San Clemente, risalente al 1080 ca.
Dell’842 è invece il Giuramento di Strasburgo, in volgare francese e tedesco.

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