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L’uomo è un animale sociale: cosa vuol dire?

L’uomo è un animale sociale: così Aristotele filosofo greco del IV secolo a.C. definì l’uomo nella sua opera Politica (libro I).

Cosa vuol dire che l’uomo è un animale sociale?

Vuol dire che l’uomo è incapace di realizzare il bene e di conseguire la felicità al di fuori della comunità e dell’unione con altri individui. Secondo Aristotele chi costituisse un’eccezione a questa inclinazione sarebbe o un essere spregevole o un essere più che umano, cioè un dio.

Di conseguenza, per Aristotele, la società si forma grazie al progressivo ampliamento dell’istinto associativo, che spinge dapprima uomo e donna a mettersi insieme per formare una famiglia, poi, poiché la famiglia non è in grado di rispondere ai bisogni più complessi, più famiglie si uniscono per costituire un villaggio, e infine più villaggi si uniscono per formare un’entità più grande, ciò che nella lingua greca si chiama pólis, ovvero ciò che noi chiamiamo “Stato”: una comunità autosufficiente, nella quale l’uomo non solo ottiene la soddisfazione di bisogni elementari, ma può anche raggiungere la felicità.

In epoca moderna, il filosofo inglese Thomas Hobbes (1588-1679), discostandosi dalla definizione aristotelica dell’essere umano, considera l’uomo un essere fondamentalmente “asociale”, che ricerca l’associazione con altri individui solo perché spinto da motivazioni utilitaristiche, cioè per trarne vantaggi e benefici personali.

Tuttavia, anche per Hobbes la nascita della società è necessaria, perché si identifica con il superamento del cossiddetto “stato di natura”, dove non esistono né norme, né valori, né criteri certi di condotta. In tale situazione gli uomini non potrebbero resistere a lungo, o sarebbero comunque condannati a vivere nel continuo terrore della morte.

Ecco che allora si rende necessario l’approdo a una nuova condizione – quella sociale -, in cui la sottomissione cosciente di tutti alle norme giuridiche garantisce a ciascuno la possibilità di condurre un’esistenza tranquilla e sicura.

Quindi pur muovendo da premesse opposte, sia Aristotele sia Hobbes riconoscono che o per istinto naturale, o per drammatica necessità, l’uomo non può vivere al di fuori della società.

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