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Il difficile rapporto tra Stato e Chiesa nella storia

Il difficile rapporto tra Stato e Chiesa nella storia

È stata proprio la Chiesa, verso la fine del V secolo, a rivendicare l’autonomia dell’autorità religiosa dal potere temporale. Papa Gelasio I (492-496) teorizzò infatti la dottrina delle due spade, cioè dei due poteri (spirituale, affidato alla Chiesa; politico e civile gestito dall’Impero), che non possono essere impugnate contemporaneamente da una sola mano.

Nel corso del Medioevo tale teoria fu continuamente ripresa, per giustificare i due poteri autonomi del papa e dell’imperatore, peraltro complementari all’interno della comune respublica christiana.

Solo che nella lotta tra papato e impero è stato il potere politico a doversi difendere dalle pretese egemoniche del papa, il quale, in quanto rappresentante di Dio in terra, considerava la sua autorità superiore a quella dell’imperatore. E anche quando in Europa si era da tempo affermato il potere assolutistico delle monarchie nazionali, la Chiesa della Controriforma continuò ad avanzare la teoria della potestas indirecta in temporalibus, secondo la quale, fatta salva l’autonomia della sfera temporale, l’ingerenza della Chiesa è giustificata quando, a giudizio del potere spirituale, il potere temporale diventa un ostacolo alla salvezza delle anime; in questo caso il papa può addirittura deporre i sovrani.

Bisognerà aspettare la fine del Seicento per avere una teoria piena della separazione tra Stato e Chiesa. Nell’Epistola sulla tolleranza (1689) il filosofo inglese John Locke distingue lo Stato, «società di uomini costituita per conservare e promuovere soltanto i beni civili» – che sono la vita, la libertà, l’integrità del corpo, la proprietà – dalla Chiesa, «libera società di uomini che si riuniscono spontaneamente per onorare pubblicamente Dio [e] per ottenere la salvezza dell’anima».
L’uno non deve interferire con l’altra; lo Stato non ha niente a che fare con la salvezza dell’anima, la Chiesa non ha niente a che fare con i beni civili.

Nei Paesi occidentali la separazione tra Stato e Chiesa è divenuta definitiva dal punto di vista politico e giuridico solo nei secoli XIX e XX, e non senza difficoltà. Infatti, già nelle settimane precedenti la proclamazione del Regno d’Italia (1861), Camillo Benso di Cavour (sua è la celebre formula «libera Chiesa in libero Stato») aveva avviato trattative informali col Vaticano in vista di una soluzione che assicurasse al papa e al clero piena libertà di esercitare il proprio magistero spirituale, in cambio della rinuncia al potere temporale e del riconoscimento del nuovo Stato. Le proposte di Cavour si scontrarono, però, con l’intransigenza del papa Pio IX, ormai in rotta definitiva non solo col movimento nazionale italiano ma coi valori stessi della cultura liberale.

Nel settembre 1870 il governo italiano decise di mandare un corpo di spedizione nel Lazio e di avviare contemporaneamente un negoziato col papa per giungere a una soluzione concordata, ma Pio IX rifiutò ogni accordo. Il 20 settembre 1870 le truppe italiane entravano in Roma presso Porta Pia (La presa di Porta Pia).
Pochi giorni dopo, un plebiscito sanzionava a schiacciante maggioranza l’annessione di Roma e del Lazio al Regno d’Italia e decretò la fine del potere temporale dei papi.

Il 13 maggio 1871 lo Stato italiano approvò la legge delle guarentigie (per un approfondimento sulla legge delle guarentigie clicca qui), con cui si impegnava unilateralmente a garantire al pontefice le condizioni per il libero svolgimento del suo magistero spirituale, secondo le linee del progetto cavouriano.
Pio IX rifiutò questa legge, per il suo contenuto e in quanto atto unilaterale del regno d’Italia, e si dichiarò prigioniero dello Stato italiano.
Negli anni seguenti, il regno d’Italia approvò altri provvedimenti biasimati dalla Chiesa, come il Codice penale Zanardelli (1889), che introdusse alcuni reati che riguardavano i ministri di culto, come l’istigazione a violare le leggi e i provvedimenti delle autorità.

Con l’inizio del XX secolo la Chiesa si mostrò più disponibile a risolvere la questione romana. Nel 1905, con l’enciclica Il fermo proposito, Pio X (1903-14), pur non abolendo il non expedit (disposizione di Pio IX del 1874, che dichiarava inaccettabile per i cattolici italiani partecipare alla vita politica), permise ai cattolici di entrare in Parlamento a titolo personale. Nel 1909, poi, mise alla direzione dell’Unione elettorale cattolica italiana Vincenzo Ottorino Gentiloni che, nel 1912, promosse un accordo con i liberali in vista delle elezioni politiche del 1913 (patto Gentiloni). In chiara funzione antisocialista, ai cattolici fu consentito di votare i candidati liberali che si erano impegnati a osteggiare i provvedimenti anticlericali.

Con l’elezione al soglio pontificio di Benedetto XV (1914-22) iniziò, poi, una collaborazione indiretta e ufficiosa tra Stato e Chiesa; nel 1919 il papa abolì il non expedit, legittimando il neonato Partito popolare italiano.

Dal 1922, con la presa del potere del regime fascista, l’Italia e la Chiesa si avvicinarono ulteriormente. Benito Mussolini, abbandonato il suo precedente anticlericalismo, diede sempre più importanza al ruolo istituzionale della Chiesa: dal 1923 si susseguirono numerosi incontri tra rappresentanti del governo italiano e il segretario dello Stato Vaticano, il cardinale Pietro Gasparri. Nello stesso anno, inoltre, la riforma Gentile dell’istruzione scolastica introduceva l’insegnamento della religione cattolica e disponeva l’esposizione del crocefisso nelle aule. I contatti tra Stato e Chiesa si fecero più intensi a partire dal 1925 e, nell’agosto 1926, diventarono ufficiali.
L’11 febbraio 1929 Mussolini e il cardinale Gasparri firmarono i Patti Lateranensi (per un approfondimento sui Patti Lateranensi clicca qui).

Caduto il regime fascista, nell’Assemblea Costituente si pose il problema del riconoscimento dei Patti lateranensi. Con l’articolo 7 della Costituzione italiana si affermò che Stato e Chiesa cattolica sono «indipendenti e sovrani», che i loro rapporti sono regolati dai Patti lateranensi e che il Concordato poteva essere modificato unilateralmente dallo stato italiano solo attraverso la stessa complessa procedura prevista per la revisione della Costituzione.

Il 18 febbraio 1984, con gli accordi di Villa Madama firmati dal presidente del consiglio Bettino Craxi e dal cardinale Agostino Casaroli, fu approvato il Nuovo Concordato, con il quale il cattolicesimo ha cessato di essere la religione ufficiale dello Stato italiano.
La sentenza n.203 del 1989 della Corte Costituzionale ha poi dichiarato «la qualità di Stato laico della Repubblica italiana», abolendo definitivamente la religione di Stato.

 

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