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Il pensiero e la politica di Dante Alighieri

Dante Alighieri nasce a Firenze tra il 14 maggio e il 13 giugno 1265.

Dante in origine era Durante: la forma Dante è un diminutivo, che ha poi sostituito il nome reale. La forma Alighieri per il cognome entra in uso con Boccaccio, tra i primi e maggiori commentatori di Dante. L’originale cognome dovrebbe essere stato Alagherii – in latino patronimico, figlio di Alagherio – o de Alagheriis – in latino, gentilizio, della famiglia degli Alagheri.

Appartiene alla piccola nobiltà cittadina. L’imperatore Corrado III aveva infatti insignito al trisavolo Cacciaguida il titolo di cavaliere poco più di un secolo prima della nascita di Dante. Il padre di quest’ultimo aveva poi incrementato la scarsa ricchezza familiare con attività commerciali e finanziarie, prestito incluso. La madre è Bella degli Abati; ella muore molto presto e nel 1275 il padre contrae un secondo matrimonio.

Nel 1285 Dante sposa Gemma Donati, da cui ha tre figli: Pietro, Iacopo, Antonia e forse un quarto, Giovanni. I primi due sono tra i primi commentatori della Commedia. Il matrimonio era stato stabilito con un contratto notarile nel 1277, quando Dante aveva solamento 12 anni, secondo l’uso del tempo.

Gli anni giovanili sono quelli della formazione culturale tanto filosofica quanto teologica, dello studio dei classici e della frequentazione dei vari ambienti culturali. Significativa è sicuramente la frequentazione di Brunetto Latini, studioso di retorica, da cui Dante deriva la concezione dell’intellettuale impegnato in ambiente filosofico e civile. Un altro incontro decisivo è quello con Guido Cavalcanti, più grande di dieci anni, massimo esponente della tradizione lirica degli ultimi decenni del Duecento, di quella corrente che Dante stesso definirà Dolce stil novo.

Collegato all’esperienza del Dolce stil novo è l’incontro con Beatrice. Nella Vita nova, Dante narra del suo incontro con Beatrice, nel 1283, all’età di diciotto anni, esattamente nove anni dopo un primo incontro puerile.

La Beatrice di Dante Alighieri è certamente Bice, figlia di Folco Portinari. Ella muore l’8 giugno 1290. Al seguito della morte di Beatrice, segue un periodo di traviamento, un periodo in cui Dante si allontana dal culto di Beatrice e si abbandona a una vita dissoluta, abbandonando gli studi teologici. Dante – come egli stesso dichiara – cerca conforto nella filosofia, in particolare nel De consolatione philosophiae di Boezio e nel De amicitia di Cicerone.

Per quanto concerne la formazione filosofica, Dante sembra essere più influenzato da Tommaso e dai cosiddetti aristotelici, condividendo l’integrazione tra fede e ragione, rifiutando la tradizione platonica, che si configura spesso come abbandono al mistico e all’inconoscibile, sebbene si lasci ispirare – per la Commedia, ad esempio – dalle Confessioni di Agostino, un platonico, come lo stesso Boezio.

Questa crisi sembra da Dante superata almeno in parte con la stesura della Vita nova tra il 1292 e il 1293. Con la ripresa degli studi inizia la sua attività politica. Al 1295 risale probabilmente la sua iscrizione all’Arte dei Medici e degli Speziali, quella a cui solitamente aderivano gli intellettuali, condizione indispensabile per ricoprire cariche pubbliche secondo gli Ordinamenti antinobiliari di Giano della Bella, che vieta ai nobili l’accesso alle cariche pubbliche, a meno che non siano iscritti a una corporazione.
Prende parte prima al Consiglio dei Trentasei e poi a quello dei Cento, fino a ricoprire la carica di priorato tra il 15 giugno e il 15 agosto del 1300.

La scena politica fiorentina è dominata dallo scontro tra Bianchi e Neri, due fazioni del partito guelfo, che detiene il potere dal 1266, anno della battaglia di Benevento.

I Bianchi fanno capo ai Cerchi ed esprimono gli interessi dei finanzieri e dei ricchi mercanti; i Neri, guidati dalla famiglia dei Donati, sostengono la restaurazione del potere nobiliare e sono disposti ad appoggiarsi al papa, per raggiungere il loro scopo.

Dante Alighieri, invece, in questo periodo è sostenitore dell’autonomia dei Comuni, lontano da logiche universalisitiche, quali erano quelle che alimentavano gli scontri tra Chiesa e Impero. Egli appoggia, perciò, il primo schieramento, dimostrandosi moderato e imparziale: il 7 maggio 1300 Dante si reca presso il Comune di San Gimignano al fine di sostenere la causa dei Bianchi; durante la sua carica manda in esilio anche capifazione violenti, tra cui lo stesso Cavalcanti.
Si scontra inevitabilemente con Bonifacio VIII, intenzionato a restaurare il potere dei Neri, per affermare la propria egemonia in Toscana.
Terminata la carica, continua a prendere parte alla politica comunale, sempre contro il papa; nell’ottobre 1301 è uno dei tre ambasciatori che il governo dei Bianchi manda a Roma, per sondare le intenzioni papali. Il primo novembre le truppe angioine di Carlo di Valois, alleato del papa, entrano a Firenze, imponendo il governo dei Neri, che scatenano una dura repressione nei confronti dei nemici.

Quando Dante Alighieri ebbe tale notizia è già sulla strada del ritorno, ma non cade nelle mani dei nemici. Il 27 gennaio 1302 è pronunciata la condanna contro di lui: una multa di cinquemila fiorini e due anni di esilio. L’accusa rivoltagli è di baratteria (cioè di corruzione nell’esercizio di pubbliche funzioni); in quanto falsa, è da Dante rifiutata. Questi si unisce allora ad altri Guelfi bianchi in esilio, premeditando il ritorno in patria con un’azione diplomatica o anche con le armi. Il 10 marzo la condanna è aggravata con la confisca dei beni e condanna alla morte sul rogo.

Non sono tutti chiari gli spostamenti di Dante durante gli anni dell’esilio. Nel 1303 assieme ad altri guelfi bianchi si allea con i vecchi capi dei Ghibellini. Si reca prima a Forlì da Scarpetta Ordelaffi, capo dei fuoriusciti. Nel 1304 è ad Arezzo; a nome dei Bianchi scrive al cardinale Niccolò da Prato, inviato a Firenze dal nuovo papa Benedetto XI, chiedendo la revoca dei provvedimenti contro gli esuli in cambio della sottomissione di questi ultimi: l’azione diplomatica fallisce. A questo punto comincia a delinearsi la nuova concezione politica dantesca, lontana dalle istanze municipalistiche, che lo hanno coinvolto in quella continua lotta che dilania Firenze. Rilancia quel modello universalistico che è già da tempo in crisi. Nel Convivio, nella Commedia e nel De monarchia, Dante afferma la legittimità del potere imperiale, fondato sulla tradizione romana e voluto da Dio per rimediare, con la forma più giusta di gestione politica, alla degenerazione della storia umana.

Il tema politico è largamente affrontato da Dante nel De monarchia, trattato politico, in latino, in cui sogna un’Italia unita e in cui pone una netta distinzione tra potere temporale dell’imperatore, che deve garantire la felicità terrena, e il potere papale, che deve invece garantire all’uomo la salvezza eterna ed essere quindi esclusivamente detentore di un potere spirituale.

La sconfitta subita dai Bianchi il 20 luglio 1304 induce Dante ad abbandonare la coalizione. Sono gli anni dell’esilio solitario di Dante: soggiorna a Treviso e in altre città venete, in Lunigiana, in Casentino, a Lucca. In questi anni si dedica alla stesura dell’Inferno, terminato forse già nel 1308; del Purgatorio, compiuto attorno al 1312. Tra i 1302 e il 1305 compone il De vulgari eloquentia e tra il 1304 e il 1308 il Convivio.

Attorno al 1310 appare imminente la discesa in Italia di Arrigo VII di Lussemburgo; Dante compone molte lettere per favorire l’azione  di riunificazione imperiale in Italia – in questi anni Dante compone il De monarchia – ma Arrigo muore prima di poter compiere la sua missione, il 24 agosto 1313 a Buonconvento, presso Siena.

Lo schierarsi a favore dell’imperatore non diffonde un’immagine positiva di Dante Alighieri presso i signori locali ed è anche escluso dall’amnistia che il 2 settembre 1311 è concessa agli esuli Guelfi in occasione della minaccia imperiale. Nel 1315 una nuova amnistia sarà concessa anche a Dante, a patto del pagamento di una multa simbolica e del pubblico rinoscimento del suo torto. Scriverà per l’occasione l’Epistola XII e verrà rinnovata la condanna di morte nei confronti suoi e dei suoi figli.

Attorno al 1312 è a Verona con i figli, presso Cangrande della Scala. Qui rimane fino al 1318 o al 1320, per poi recarsi a Ravenna da Guido Novello da Polenta. È accolto anche dagli Scaligeri di Verona, ottenendo incarichi diplomatici e formandosi un circolo di ammiratori e di allievi.

Dante ha da poco concluso il Paradiso quando muore, per aver contratto la malaria, al ritorno da un’ambasceria a Venezia, tra il 13 e il 14 settembre 1321. È sepolto nella Chiesa di San Piero Maggiore – oggi San Francesco – a Ravenna e ancora oggi è reclamato dai fiorentini.

Dante Alighieri si presenta come il massimo poeta della civiltà comunale: nella sua opera convergono la cultura dell’intero Medioevo e i fermenti di una nuova epoca, inquieta e in rapida modificazione.

La sua cultura è vastissima e approfondita: studia come autodidatta e partecipa a dibattiti del suo tempo, mostrando di non essere mai inadeguato e, anzi, di essere superiore ai suoi contemporanei per la modernità delle sue posizioni.
La figura di Dante mantiene del resto la sua modernità e la sua opera risulta attuale ancora oggi.

Nell’opera dantesca è fondata la nostra lingua; la Vita nuova è il primo romanzo della nostra letteratura; le Rime politiche, filosofiche, d’amore innalzano la tradizione lirica ad un livello più alto; il Convivio è il primo modello di prosa filosofica-scientifica in volgare; la Commedia è un insuperato modello di poesia e narrazione; nel De vulgari eloquentia  Dante difende la nuova lingua e ne determina la tradizione letteraria, stabilendo solidissimi canoni storico-letterari. Dante è, perciò, individuato, anche come elemento di coesione nazionale.

Per approfondire la vita di Dante Alighieri

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